Il Parlamento italiano ha approvato in prima lettura il decreto Zan, una legge che serva a contrastare efficacemente gli atti di odio e di violenza nei confronti delle persone omosessuali e transessuali e possa superare radicati sentimenti omotransfobici che caratterizzano una parte importante della società italiana.
Con una manovra improvvida il Vaticano però è insorto chiedendo la verifica della legge in base al Concordato, aggiungendo una ulteriore ventata di ostilità contro la Chiesa.
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Come era prevedibile, i sostenitori della causa LGBTQI hanno gridato allo scandalo e qualcuno ha pure chiesto di rivedere quei Patti lateranensi che ancora tanto ostacolano l’effettiva laicità del nostro Paese. Con l’obbiettivo di combattere le discriminazioni, i sostenitori della causa Lgbt si sono impadroniti della società e dei suoi linguaggi e stanno imponendo oggi i loro valori e i loro stili di vita a tutti gli altri.
Ancora una volta dobbiamo rivolgerci verso un Paese Visegrad per trovare un argine possibile alla deriva progressista, costi quel che costi, delle nostre società L’Ungheria infatti si è data una nuova legge sulla protezione dei minori e la prevenzione della pedofilia.
Approvata lo scorso 15 giugno, questa legge vieta implicitamente ogni tipo di propaganda e di promozione dell’omosessualità infantile e prevede una serie di misure per proteggere i bambini dal rischio della predazione pedofila.
Ovviamente la comunità omosessuale è in subbuglio e arriva alle richieste più disparate, come quella avanzata dalla città di Monaco che, per protestare contro una legge interna di un Paese sovrano, ha chiesto all’Uefa, nell’ambito dell’incontro di calcio tra Germania ed Ungheria di illuminare l’Allianz Arena con i colori arcobaleno della comunità Lgbqi per portare così simbolicamente quella loro protesta nell’ambito di un importante match di football e strumentalizzare mediaticamente la loro lotta.
Ma l’Uefa ha risposto picche
Non ha illuminato lo stadio perché per statuto rimane una organizzazione politicamente e religiosamente neutrale e, soprattutto, perché non vuole inviare un messaggio inopportuno contro una decisione presa dal Parlamento di un Paese sovrano.
Consapevole del messaggio di promozione della diversità e dell’inclusione che la città di Monaco ha inteso sottolineare, l’Uefa però, poco coraggiosamente, ha proposto delle iniziative alternative, come quella di illuminare lo stadio con i colori arcobaleno in occasione del gay-pride locale del 28 giugno e nella settimana del Christopher Street Day a Monaco dal 3 al 9 luglio.
Con una logica abietta ritroviamo sempre, tra i promotori della diversità, della tolleranza e dell’inclusione, gente che vuole invece impedire ogni forma di pensiero alternativo, ogni tipo di dibattito e di opinione contraria. Come ha scritto anche l’Economist, settimanale notoriamente progressista: «qualsiasi opinione contraria all’ortodossia libertaria si scontra con una forma di tolleranza zero che etichetta chi la esprime come razzista, omofobo o transfobico».
Neanche l’Uefa può sfuggire al compressore del comunitarismo LGBTQI che fortunatamente però rappresenta soltanto una piccola parte della comunità omosessuale che non si riconosce nel militantismo politico delle lobby gay.
Nella confusione attuale, tra inginocchiamenti e insistenze pervicaci, la decisione dell’Uefa di rifiutare la proposta della capitale bavarese dimostra almeno chiaramente che nessun individuo e nessuna organizzazione possano riuscire a strumentalizzare lo sport, sempre nella speranza di poter continuare su questa linea di rifiuto di ogni strumentalizzazione, che rimane la sola ipotesi rispettosa dell’etica sportiva.