È stato oggetto di aspre critiche e giudizi poco edificanti, sia sulla validità dello strumento, ma anche su chi lo percepisce
Il Reddito di cittadinanza è una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà contro le disuguaglianze e l’esclusione sociale. Si tratta di un sostegno economico ad integrazione dei redditi familiari associato ad un percorso di reinserimento lavorativo e sociale, di cui i beneficiari, sono protagonisti sottoscrivendo un Patto per il lavoro o un Patto per l’inclusione sociale.
Il RdC, attraverso un sostegno economico, cerca di restituire in parte dignità alle persone vittime della crisi e dell’austerity, che ha causato la chiusura di aziende e attività commerciali e conseguente nuova e maggiore disoccupazione, con gravi ripercussioni sul tessuto socio/economico del Paese che si protrae ormai da oltre un decennio.
Negli ultimi mesi il provvedimento è stato oggetto di aspre critiche e giudizi poco edificanti, sia sulla validità dello strumento, ma anche su chi lo percepisce, in gran parte disoccupati ultraquarantenni e famiglie senza reddito. Sottoposti ad aspre critiche e giudizi, che traggono spunto dal modo in cui i media recentemente, ha enfatizzano il fatto che il RdC non vada a finire nelle tasche di persone corrette, oneste e realmente bisognose.
Cosa vera questa e inaccettabile, ma che attiene più ad un problema di controlli mal posti o non fatti alla fonte dagli enti preposti in sede di richiesta e accettazione. Certamente da non imputare a chi, attraverso il RdC cerca di mantenere una dignità economico/sociale minima avendone tutti i requisiti.
Non si può non essere che d’accordo sul fatto, che una politica per il contrasto alla povertà nel nostro paese dovesse essere attuata, così come avviene da anni negli altri Stati Europei. Disoccupati che hanno percepito e percepiscono attualmente un sostegno economico dal proprio Stato, invece di avere un regolare lavoro, sicuro, tutelato con busta paga e contributi versati.
Oggi siamo al punto in cui invece di chiedersi se questa misura sia un pannicello caldo messo a guarire una ferita infetta, o se i suoi effetti non siano persino peggiorativi sulla vita delle persone che lo ricevono. Relegate ad una sorte di “sopravvivenza” forzata, a quello che molti commentatori pubblici definiscono il «divanismo».
Per avere una idea di come e quanto questo strumento sia ordoliberista, fondato sulla svalutazione del lavoro e sulla povertà diffusa oggi, basterebbe osservare e seguire il dibattito pubblico, condito di accuse, critiche e giudizi di ogni tipo, incentrato sul come poter “usare” i percettori del RdC.
Ex lavoratori con alle spalle esperienze diverse di studi e attività lavorative svolte, che oggi sono ambiti “gratuitamente” da Comuni, Province (si anche se sono state cancellate sulla carta), regioni, e enti pubblici di ogni tipo.
D’altronde chi, non vorrebbe lavoratori a costo zero, non contrattualizzati e quindi senza tutele, senza contributi da pagargli e senza doverli regolarmente retribuire.
Numeri. La disoccupazione in Sicilia, ad esempio, tocca punte del 20% e oltre; l’80% delle aziende siciliane ha dichiarato di non poter pagare le bollette ed il 68% di non poter pagare gli stipendi e i contributi del personale, l’allarme è stato lanciato dagli imprenditori stessi. In Sicilia i percettori del RdC sono circa mezzo milione di persone, che percepiscono una media di 550,00 euro mensili coinvolgendo una platea di circa 150 mila famiglie, numeri importanti che danno il senso di quanta disperazione e fame di lavoro ci sia.
Con l’intento di facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e anche per aiutare i percettori del RdC ad affinare la loro ricerca dello stesso, il governo ha creato la figura del ‘Navigator’. Una figura onirica della quale si sono perse le tracce subito dopo la loro assunzione presso l’Anpal (agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), che operava sotto l’egida del Ministero guidato dalla catanese Nunzia Catalfo del M5S; nonché datore di lavoro dei Navigator, con cui ha stipulato un contratto da 27.338 euro l’anno fino al 30 aprile 2021 (ad oggi nulla si sa su questi ‘lavoratori’ visto che il loro contratto sarebbe scaduto, gli daranno il RdC?).
In Sicilia sono stati assunti 429 navigator nei centri per l’impiego, che visto il contesto generale della situazione socio-economica della regione, (che risulta essere piuttosto impietoso e frustrante sia per chi percepisce il RdC sia per chi dovrebbe trovare loro un lavoro), il ‘fallimento’ è doppio ma a quanto pare le cose sono così in tutto il Paese. Il reddito di cittadinanza oggi è fonte di sopravvivenza per circa 5 milioni di persone rappresentate da 1,3 milioni di famiglie, collocate per il 47% nel Centro-Nord e il 53% al Sud e Isole.
Mal comune ma nessun gaudio.
Certo è che non si può pensare che il RdC possa risolvere il problema della povertà o della disoccupazione nel nostro paese. ma ne ha risolto un’altra, si perché al contrario, tanta disoccupazione è servita e serve per abbassare il costo del lavoro (liberalizzato), che insieme alla bassa inflazione, garantisce la stabilità della moneta unica e di conseguenza le alte e facili rendite ottenute attraverso la finanza speculativa.
In queste condizioni chi riuscirà ad avere una occupazione più o meno stabile, rinuncerà ‘volentieri’ alle tutele ed ai propri diritti a ricevere salari dignitosi e come per legge. Questo comporterà l’importazione di prodotti scadenti ed a basso costo che i percettori del RdC ed i nuovi schiavi/lavoratori potranno permettersi, prodotti che magari saranno forniti sempre da aziende nazionali, ma in realtà produttive delocalizzate sia produttivamente e sia anche fiscalmente, che non produrrà alcun beneficio al Paese né ai lavoratori, in quanto la domanda interna (quella che ancora oggi non c’è), non inciderà sulla produzione nazionale se non in maniera minima.
C’è da dire che questo tipo di reddito non è studiato per creare benessere diffuso, ma serve soprattutto a calmierare e tenere sotto controllo il malessere sociale latente e far accettare la precarizzazione del lavoro e l’assistenzialismo come qualcosa di inevitabile. Ma che inevitabile non è.
Converrete con me che a questo punto sarebbe meglio, per esempio, mettere mani ad una vera quanto immediata politica di investimenti pubblici. A partire dalle manutenzioni ordinarie e straordinarie delle scuole che non sono a norma, quella di strade e autostrade con la realizzazione di nuove, insieme a ponti, porti e aeroporti, difesa e tutela del territorio, delle aeree costiere, parchi archeologici a cominciare dal Sud Italia, altro che reddito di cittadinanza.
Interventi che insieme a migliaia di altre cose da fare, diventerebbero strategici per il Paese e per il suo tessuto socio/economico lacerato da anni di profonda incuria giustificata dalle imposizioni che il Paese è obbligato a rispettare per i vincoli di natura contrattuale stabiliti con la EU. Un vincolo esterno micidiale, che ci ha privato della nostra sovranità e con essa della possibilità di poter decidere del nostro futuro come Nazione e come popolo.
Il Sud avrebbe bisogno di strutture ricettive da dedicare al turismo e dietro a questo una infinità di servizi da realizzare che ne farebbero il volano del Paese. Riportare sotto l’alveo statale tutte le aziende pubbliche e rivedere tutte le concessioni statali offerte con troppa magnanimità sarebbe oggi, più che opportuno, visto anche come e in che misura i beni pubblici affidati in gestione ai privati, sono stati trattati e cosa abbiano causato.
Miliardi di euro che servirebbero a creare lavoro e occupazione con l’assunzione di giovani e meno giovani (compresi i percettori del RdC), con contratti di lavoro tutelati e degni che, questi si, creerebbero benessere diffuso e che metterebbero se non la parola fine alla povertà, alla discriminazione ed all’isolamento, la parola ‘nuovo inizio’ per l’Italia e gli italiani.
Altro che Recovery Fund e PNRR, debito condizionato per assoggettarci e fare di noi una colonia.