Dalla Bce a Palazzo Chigi, Draghi IL GRAN SACERDOTE dell’italica schiavitù

di Nuccio Carrara*

Dopo avere officiato da Gran Sacerdote nel Tempio più alto d’Europa, la BCE, Mario Draghi è calato da cielo in terra a miracol mostrare nella nuova dimora di Palazzo Ghigi accompagnato, salvo qualche sparuta voce dissonante, dagli osanna e dagli alleluia del mondo politico e mediatico.

Finiti i tempi in cui creava denaro dal nulla e senza fatica per la felicità del sistema bancario e per la disperazione dei popoli indebitati, oggi, alla guida di un governo con più colori dell’arcobaleno, veste i panni del buon padre di famiglia, che mostra di voler guidare con saggezza, verso magnifiche sorti e progressive, un’Italia sfinita dalla crisi.

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Per la gioia delle partite IVA ormai al collasso, promette corposi ristori del 2 (due!) per cento rispetto alle perdite subite durante la pandemia. Sbandiera il miracoloso piano nazionale di ripresa e resilienza (pnrr) che porterà (forse) denaro in quantità ridicole, sotto forma di debito “buono”. Per non parlare delle condizionalità che ci asserviranno agli umori malmostosi dell’Unione europea.

Abbandonati i panni del rigoroso fautore dell’austerità e della macelleria sociale, propugna la spesa pubblica, un tempo “cattiva” per definizione, senza badare ai vetusti parametri europei che gli erano un tempo tanto cari.

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Con maestria pittorica colora e ricolora le regioni per indicare chiusure e aperture, semi chiusure e semi aperture, coprifuoco un’ora prima o un’ora dopo, esattamente come covid comanda.

Intanto pensa come e quando trasferirsi, a furor di Palazzo, dalle parti del Quirinale per sedersi sul più alto scranno della Repubblica.

Al momento gode di una maggioranza di governo che supera il 90% dei parlamentari, mentre tra gli italiani il suo gradimento è di gran lunga inferiore dimostrando ancora una volta quanto sia lontano questo parlamento dal comune sentire degli italiani.

In altri termini, nonostante la grancassa mediatica in suo favore e l’aspettativa messianica del suo avvento alla guida del governo, Draghi è oggi il premier del Palazzo e non del popolo.

Sa bene, però che a dovere eleggere il futuro Presidente della Repubblica, toccherà a questo parlamento con scarsissima legittimità popolare. E deve tenerselo caro, costi quel che costi, magari turandosi orecchi, naso e gola.

Non a caso si sforza di assumere atteggiamenti super partes, tenendosi fuori dalle polemiche e dalle fibrillazioni politiche navigando sempre nelle acque paludose del politicamente corretto. Dispensa consigli e qualche paterna bacchettata alle regioni ritardatarie sui vaccini e dedica qualche buffetto alla UE, che avrebbe bisogno di una revisione.

Fare il premier è altra cosa, significa sporcarsi le mani, fare scelte chiare, dirigere e coordinare l’azione di governo, che si sta dimostrando un caravanserraglio ingestibile dove si convive da separati in casa.

Ma non bisogna scontentare nessuno.

Che litighino liberamente i leader dei partiti. Letta può continuare a provocare Salvini per spingerlo fuori dal governo, la Lamorgese può fare spallucce se migliaia di clandestini sbarcano ogni giorno sulle coste italiane, i libici possono sparare impunemente sui pescatori siciliani con le motovedette regalate dall’Italia. Infine, sembra non riguardarlo l’assurda legge sulla omotransfobia, di cui nessun italiano di buon senso sente il bisogno, soprattutto in un momento in cui l’economia va a rotoli e i veri bisogni sono altri.

Intanto si avvicina il semestre bianco, quello in cui non si potranno più sciogliere le camere. Ma non è questo che lo preoccupa.

Nei corridoi della politica si parla di una possibile rielezione di Mattarella disposto a concludere anticipatamente il suo secondo mandato giusto in tempo per lasciare il posto a Draghi poco prima dello scioglimento delle Camere per la loro scadenza naturale nella primavera del 2023.

A questo appuntamento, però, Draghi potrebbe arrivare troppo tardi avendo ragione di temere che il tempo possa logorare la sua credibilità di fronte alla rissosità incontrollabile dei partiti che lo sostengono ed alla remota possibilità di successo delle misure economiche adottate.

Al momento possono giocare a suo favore il declino della pandemia, che potrà essere interamente attribuito alla campagna vaccinale e non, come lo scorso anno, al sole della vicina estate.

Gioca a suo favore l’effetto delle aspettative sui finanziamenti europei, cui vengono attribuite virtù taumaturgiche. Ma non potrà durare a lungo questo clima favorevole.

In autunno, insieme alle tensioni elettorali amministrative, potrebbe ritornare la pandemia e i fondi europei potrebbero ancora non essere arrivati.

Con ogni probabilità la fantasmagorica ripresa di cui si parla non ci sarà, ma crescerà il malcontento e le tensioni sociali si aggraveranno.

Per Draghi l’approdo alla Presidenza della Repubblica, nel febbraio del prossimo anno, sarebbe il sistema migliore per non essere caricato della responsabilità dei probabili insuccessi di politiche economiche che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero rivelarsi dei pannicelli caldi.

A Salvini non sembra vero di potere concorrere alla elezione di Draghi verso il quale già da tempo ha espresso il suo gradimento.

Per Letta si libererebbe il posto di Presidente del Consiglio, al quale probabilmente aspira, ma soprattutto gli si offrirebbe l’occasione di liberarsi di Salvini con la nascita di un nuovo governo che lo ricacci all’opposizione. I numeri ci sono ed anche se i grillini, in corso di disfacimento, dovessero prendere strade diverse, rimarrebbero comunque nell’area governativa essendosi rivelati consustanziali alle poltrone che occupano. Renzi, che ha provocato la caduta del governo Conte, ha le unghie spuntate e non aspira al suicidio politico, e stavolta sarebbe lui a dover stare sereno anziché Letta.

Comunque vada a finire, le catene del servaggio europeo sono ormai state rinforzate e Draghi, circonfuso dai fumi d’incenso che esalano dai turiboli benedicenti del clero mediatico, nel ruolo di Gran Sacerdote quirinalizio, sarebbe il garante più autorevole dell’italica schiavitù.

Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali

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