Dire che si sia trattata di una settimana difficile o complicata per il governo e la maggioranza è più che un eufemismo. Il primo decreto legge che timidamente stabilisce alcune riaperture e che ripristina la zona gialla con il ritorno anche alla mobilità tra le Regioni è stato segnato dalla prima vera crisi interna alla maggioranza.
Quella intesa cordiale, non scritta ma tacitamente accettata da tutti, è ufficialmente venuta meno e dire che il Consiglio dei ministri di giovedì possa rappresentare una sorta di turning point nella vita e nella storia di questa maggioranza non è del tutto fuori luogo. Quanto meno questo vale per Matteo Salvini che sembra aver rotto gli indugi, messo da parte il passo felpato di questi primi mesi e di aver deciso di recuperare quel piglio agonistico che lo aveva contraddistinto all’epoca del governo Conte.
La speranza è che, come accadde allora, questo atteggiamento gli consenta di recuperare consensi e soprattutto di apparire come colui che incide nelle scelte di governo e non che le subisce. Insomma, che la scommessa di andare al governo con il Pd e di ritornarci con il M5S l’ha vinta, al punto da dettarne l’agenda. Così si spiega lo strappo, o sarebbe meglio dire la strambata, nell’ultimo CdM quando sul dl riaperture ha deciso di schierare la Lega sull’astensione anche se soltanto qualche giorno prima, al termine della cabina di regia, aveva plaudito alle misure addirittura intestandosele.
Una conversione fatta a costo, come poi è puntualmente accaduto, di apparire inaffidabile e ondivago ma necessaria anche per non lasciare la scena tutta a Fratelli d’Italia che, stando all’opposizione, ha la possibilità di raccogliere quel malcontento che continua a serpeggiare massiccio nel Paese. Questo spiega il livello sempre più alto di contestazione e critica su cui si è attestato Salvini, tirando a sé anche il presidente della Conferenza Stato Regioni, il leghista Massimiliano Fedriga, il quale a sua volta ha avuto buon gioco a solleticare il malcontento dei governatori verso l’Esecutivo.
Dove porterà questa strategia è tutta da vedere, perché se questa funzionò ai tempi del governo gialloverde non è detto che accada lo stesso adesso. In fin dei conti un conto è parlare di migranti, di difesa dei confini e di ‘prima gli italiani’, un altro è chiedere stralci di cartelle esattoriali, spostare l’orario di un coprifuoco e aprire più attività o aumentare le risorse a sostegno delle categorie in difficoltà. Se per i primi possono bastare le parole e tenere una nave in mezzo al mare, per il resto bisogna fare i conti con le risorse a disposizione, con l’andamento della pandemia e il ritmo delle vaccinazioni. Senza contare che dopo un anno di privazioni e anche di frustrazioni basta poco per fallire l’obiettivo.
Ecco perché risalire la china dei sondaggi non sarà facile. Senza dimenticare che poi ci sono gli alleati di governo che, come nel caso del Pd, non hanno alcuna intenzione di lasciare la scena a Salvini ed anzi puntano a fissare i loro paletti (vedi Ius soli e ddl Zan). Un quadro perciò delicato per il leader leghista.
Ciononostante Salvini va avanti. Lo dimostra la sferzante risposta alla scoperta che nella versione finale dle decreto è saltato il riferimento alle riaperture nei week end dal 15 maggio dei centri commerciali. «L’ennesimo schiaffo al buonsenso, al lavoro, alla libertà, agli accordi» ha detto il leader leghista continuando poi a rilevare come «il Decreto era immodificabile per pranzare al chiuso e per togliere il coprifuoco alle 22, ma è stato ritoccato per ammassare più studenti sui mezzi pubblici e per punire il commercio. Così non va».
Vocabolario più da opposizione che da maggioranza, come confermano le parole di Giorgia Meloni per la quale questa chiusura è «un’assurdità, che rischia di dare il colpo di grazia ad un comparto già in grande sofferenza e mettere a repentaglio decine di migliaia di posti di lavoro».
E come se non bastassero i problemi ci si mette ora anche il Garante della Privacy che ieri ha ‘bocciato’ il decreto nella parte dell’introduzione del pass vaccinale, rilevando le gravi criticità sul piano della tutela e della protezione dei dati personali. Un richiamo che imporrà al governo di correggere quella parte, ma che certamente smonta uno strumento centrale nella strategia dell’Esecutivo del ritorno alla normalità, visto che proprio grazie a questo sarebbe stato possibile spostarsi tra Regioni di colore diverso e, chissà, in futuro anche per accedere a servizi ed attività.
Fin qui il decreto, che non a torto per tanto fa acqua da molte parti, ma c’è anche il Recovery Plan. Il Consiglio dei ministri è slittato a questa mattina per i malumori all’interno della maggioranza. Sotto accusa il ritardo con cui il piano è giunto sulle scrivanie degli alleati di governo, ma ci sono anche alcune misure che fanno storcere il naso a molti. In particolare la proroga del superbonus 110 per cento sulle ristrutturazioni edilizie che chiedono a gran voce sia Forza Italia e sia il M5S. La mancanza di certezze e rassicurazioni sull’estensione della misura per tutto il 2023 avrebbe alzato la tensione nella maggioranza facendo slittare il CdM, che appunto si terrà oggi.
Insomma, Salvini a parte il clima tra le forze che sostengono il governo non è dei migliori e mercoledì arriva anche la mozione di sfiducia al ministro Speranza. Ecco, è il caso di dire: si è chiusa una settimana difficile, ma non è detto che la prossima lo sia meno.
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