‘Un ponte sull’acqua travagliata’. Ecco, lo scenario balcanico tra adesioni e migrazioni

di Eugenio Preta

Impegnata a offrire sempre maggiore spazio vitale al grande mercato aperto, l’Unione europea finge di non capire e accetta quasi all’unanimità ogni proposta d’integrazione di popoli e di Paesi ancora in difetto di democrazia.

La parola d’ordine è ormai allargare a 32 Stati, proprio per superare quel fossato che si è creato tra l’Europa dell’Ovest e l’Europa centrale e che rischia di allargarsi ulteriormente. I soloni di Bruxelles ritengono che solo l’adesione dei paesi dei Balcani occidentali possa essere oggi un’ipotesi positiva e salvifica, una specie di ponte gettato tra due culture, differenti e poco affini: “Bridge over troubled water”, diremmo invece noi, parafrasando un celebre duo canoro.

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Ma al di là di ogni enfasi e di ogni partecipato entusiasmo sulla democrazia e sui diritti dell’uomo, l’integrazione dei Balcani viene oggi immaginata con le alchimie dei finanziamenti di pre-adesione, in pratica fior di milioni che, generalmente in un quinquennio, portano soldi freschi nelle asfittiche e poco impermeabili casse degli Stati candidati.

Per lo strumento Ipa di pre-adesione, per esempio, nello scorso quinquennio, la Serbia ha già ottenuto più di 665 milioni e la Bosnia Erzegovina più di 200 milioni annuali degli oltre 1,5 miliardi di euro in 5 anni, secondo il disposto del ‘processo di Berlino’, il progetto d’integrazione europea di Stati come l’Albania, il Kosovo, la Bosnia -Erzegovina, la Macedonia, il Montenegro e la Serbia.

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Per compiacere Bruxelles, i Paesi dei Balcani sarebbero pronti a fare qualunque cosa, persino rinunciare alla propria moneta nazionale, abbandonare la propria sovranità nazionale, calibrare anche la taglia delle zucchine, praticamente disposti a tutto ma con una pillola che devono ingoiare ma che non va giù, anche se presa – come indicava Mary Poppins – con un poco di zucchero: la pillola dell’immigrazione.

L’Unione ha chiesto alla Bosnia Erzegovina, come agli altri, di aprire le frontiere per consentire il passaggio verso ovest delle colonne di migranti. Come premio all’arrendevolezza, si è detta pronta a tagliare ogni critica sullo stato di diritto, la democrazia, la corruzione statale ed ha promesso di accelerare il processo di adesione in un futuro neanche troppo lontano.

A questo punto sarebbe legittimo chiedersi quali vantaggi potrebbe portare l’allargamento dei Paesi dei Balcani occidentali a un’Unione già lacerata al suo interno dalle decisioni verticistiche lontane dalla gente e messa in discussione politicamente in molti dei suoi Stati membri.

Sicuramente si presentano molte criticità, palesate persino da media schierati, come il think tank ‘OBC Transeuropa’ che invita a integrare rapidamente i Balcani non perché ci sia stato effettivamente un progresso della democrazia, della legalità e dello stato di diritto, ma perché – udite, udite – bisogna assolutamente salvare le loro industrie liquefatte e in stato di abbandono, aiutarle per il delirante debito interno ed esterno, per la disoccupazione galoppante, per la mancanza di investimenti, per un’amministrazione statale pletorica e autoreferente, per la corruzione che dilaga imperante.

All’invito della Commissione i bosniaci avevano creduto che si sarebbe trattato solo di un semplice “passaggio” sul loro territorio di migranti, senza prevedere l’obbligo di doversi preoccupare poi, di una loro eventuale sosta in terra balcanica. Oggi però, si sono resi conti che i paesi dell’Unione, proprio in piena pandemia, stanno chiudendo le loro frontiere e allora ci ripensano e manifestano chiaramente il loro dissenso e le loro preoccupazioni.

Se questi flussi migratori fossero stati diretti, ad esempio, verso l’Arabia Saudita o il Quatar, la cosa non avrebbe creato troppe difficoltà: due paesi tra i più ricchi del pianeta che avrebbero potuto accogliere i migranti in maniera conveniente, trovare alloggi, posti di lavoro e cure sanitarie opportune per chi ne avesse bisogno.

Ma la Bosnia Erzegovina non è il Golfo persico; il suo tasso di disoccupazione tocca il 35%, quello giovanile supera il 60% e chi ha la fortuna di avere un lavoro riesce a guadagnare a stento 422 euro mensili. Il paese oltretutto è preda di altre difficoltà interne: la repubblica serba, che ne costituisce il 49% del territorio, reclama in maniera sempre più insistente la sua indipendenza e le forze jadaiste, venute per aiutare l’ONU contro i serbi negli anni 90, sono rimaste sul posto e fanno propaganda wahabita in tutti i villaggi musulmani.

Attualmente un solo argomento riesce a mettere d’accordo tutte le comunità: l’opposizione ai flussi migratori. Il ministro della sicurezza bosniaca ha annunciato l’arrivo nel Paese balcanico di 700 mila migranti provenienti dalla Grecia.

Bruxelles ha già elargito 9,2 milioni di euro per consentire la gestione dei flussi migratori, ma sono fondi insufficienti e i centri di ricovero come quello di Bihac, nel nord est del paese, sono al limite del collasso per la presenza di oltre 4mila immigrati e per la protesta della popolazione locale, in grande maggioranza musulmana, stanca dell’insicurezza generata e dalla criminalità crescente.

A questa situazione già molto grave in Bosnia-Erzegovina, si aggiungono altre criticità volutamente trascurate come la presenza di un islam jadaista in Kossovo e in Bosnia e in molte frange della popolazione albanese, tre paesi, in fin dei conti, che rispondono direttamente agli ordini dei grandi Fratelli musulmani del Medio Oriente, e soprattutto al paternalismo della Turchia di Erdogan per il quale queste regioni, vere e proprie “enclave” ottomane nel cuore del continente europeo, sono destinate a ritornare presto nel loro alveo naturale: l’influenza di Istanbul.

Non bisogna quindi meravigliarsi se la Bosnia Erzegovina si dovesse ora rivolgere verso l’Ungheria proprio a causa del problema dei migranti. Orban ha infatti già proposto di inviare delle pattuglie militari per aiutare i bosniaci a controllare le loro frontiere (quello stesso Orban che il centro-destra parlamentare europeo del PPE ha escluso dal suo gruppo).

Il primo ministro ungherese ha capito che questa campagna d’immigrazione massiccia che passa nell’Est non porterà nulla di buono all’Europa. Solo Bruxelles persiste a credere che agevolare l’accoglienza possa essere effettivamente una buona idea. Ma oggi in Bosnia ci si domanda se Bruxelles abbia realmente capito o finga soltanto di averlo fatto.

Altro che nuove adesioni: questa Europa ha bisogno di fermarsi ed essere rifondata seriamente, pena la sua implosione. Lo diciamo da tempo… non dite poi di non essere stati avvisati.

Setaro

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