Non siamo ancora alla «potenza di fuoco» di Giuseppe Conte (che peraltro ad oltre un anno mai nessuno ha visto), ma si può dire che il processo di identificazione di Draghi con il suo predecessore procede in maniera sempre più spedita. E non solo per la conferenza stampa fiume di ieri, che in altre epoche e con Conte protagonista sarebbe stata messa all’indice delle trasmissioni proibite, ma anche per la sequela di promesse, impegni e propositi lasciati vagare in un futuro indefinito e senza data.
Se fosse vivo il sempre compianto Luciano De Crescenzo con la sua graffiante intelligenza una data per le riaperture ce l’avrebbe senza dubbio suggerita: il 32 dicembre!
Per la verità la propensione verso il futuro, o meglio il «gusto per il futuro», Draghi lo aveva evocato chiaramente qualche settimana fa, protendendo tutti verso una visione, più onirica che reale, di un orizzonte migliore. E coerente con questo ieri Mr Bce è tornato a parlare di futuro, di aperture, di vacanze e turisti, del piano vaccinale senza però mai indicare una scadenza, una data, un preciso arco temporale.
Senza dubbio un capolavoro perché in quasi due ore di conferenza stampa ce ne vuole per riuscire a tenere tutti incollati e suggestionarli senza mai dare una prospettiva reale. E nel frattempo infarcire tutto con solenni richiami, come quello ai giovani che sottraggono ai più anziani la vaccinazione: «Con che coscienza la gente salta la fila?», oppure il panegirico su Erdogan considerato interlocutore necessario per poi però affibbiargli il titolo di «dittatore» scatenando così la durissima reazione di Ankara con immediata convocazione del nostro ambasciatore.
E se uno non conoscesse Mario Draghi e la sua storia crederebbe che quella non è altro che una parola dal sen fuggita, mentre molto probabilmente è una mossa ben studiata per compattarsi con quell’ala più dura e radicale della maggioranza che da giorni borbotta.
Non a caso Roberto Calderoli commenta di essere «orgoglioso di avere Mario Draghi come premier», e forse soltanto il senso della misura non lo spinge ad intonare “abbiamo solo un presidente”. Fatto sta che Draghi da un discorso nel quale Salvini ne avrebbe dovuto trarre più note dolenti «A Salvini ho detto che ho voluto io Speranza nel governo è che ne ho molta stima» è riuscito a diventare il campione del sovranismo.
Miracoli di Mario Draghi. Che non finiscono qua, visto l’impegno confermato di 500mila vaccini al giorno: «Sapevo che me lo avreste chiesto, quindi ho chiamato Figliuolo e lui mi ha confermato l’obiettivo di 500 mila dosi di vaccino al giorno». Il premier però non dice come farà, visto che AstraZeneca servirà per vaccinare soltanto gli over 60 e non chi è più giovane. Ma tant’è che il piano al massimo sarà rimodulato e punterà subito a vaccinare gli anziani perché sono quelli più fragili.
«Il rischio di decesso è massimo per coloro che hanno più di 75 anni, quindi bisogna vaccinare prioritariamente i più anziani» assicura adesso il premier. Peccato che da oltre un anno questo lo stia dicendo Fratelli d’Italia con un corposo dossier elaborato dell’Ufficio studi che aveva con dati alla mano dimostrato che era quella la fascia di età che andava tutelata e preservata, piuttosto che procedere a chiusure indiscriminate.
E infatti Giorgia Meloni a stretto giro lo fa notare: «Da aprile dello scorso anno quante volte mi ha sentito dire che per Fdi la priorità era mettere in sicurezza gli anziani? Che non ci voleva molto a capire che leggendo banalmente i dati sui morti di Covid che il vero problema non erano le chiusure indiscriminate, ma consentire a chi era più a rischio» di avere «corsie preferenziali su tutto, anche sul vaccino. Ma non è quello che è stato fatto. Ringrazio il presidente Draghi che oggi dice una cosa banale» ovvero, «partiamo dagli anziani… E perché lo dice? perché l’82 per cento di morti da Covid ha più di 60 anni. Quindi, non ci vuole molto a capire che gli anziani sono la nostra priorità».
E di banalità in banalità c’è quella delle riaperture. Draghi ne parla a più riprese nella sua conferenza stampa: «È normale chiedere aperture, la miglior forma di sostegno per l’economia non sono i sostegni del governo ma le riaperture e le chiedono tutti. Io voglio vedere le prossime settimane di riapertura ma in sicurezza, a cominciare dalle scuole». E pure: «Ripeto: tanto più si procede con le vaccinazioni della popolazione a rischio, più celermente si potrà riaprire».
E quindi, quando si apre? Il 2 giugno, come propone il ministro del Turismo Garavaglia? «2 giugno? Speriamo, magari anche prima». Allora a maggio? «Non ho una data» ammette alle strette Draghi perché «dipende dall’andamento dei contagi, ma anche un altro dato che non c’è stato finora ma che verrà sicuramente acquisito come paramento, si aggiungerà sicuramente, che è quello delle vaccinazioni». Insomma, l’annuncio dell’apertura c’è ma di date non se ne parla.
E pure sui ristori, quelli che adesso si chiamano sostegni anche se la sostanza non cambia, Draghi promette: «Il ministro Franco presenterà prima il Def, dove viene definito lo scostamento, il Parlamento dovrà votare e poi presenteremo il decreto» che «conterrà entrambe» le cose, ristori e misure economiche per la ripartenza, e «la disponibilità sarà più grande di quella passata». Naturalmente, anche qui di cifre non se ne parla. Per carità. Si azzarda soltanto Matteo Salvini, il quale dopo aver incontrato il premier tira fuori dal cilindro la cifra: «Almeno 50 miliardi, per le imprese e le famiglie».
Non c’è che dire si può essere soddisfatti: si riapre, ritornano i turisti, arrivano soldi a pioggia, avremo 500mila vaccinazioni al giorno e pure le scuole aperte. E quando tutto questo? Ah, se fosse ancora vivo Luciano De Crescenzo…
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