Allo sviluppo del Sud non servono i ponti dove non ci sono fiumi

Ennesimo attentato crucco alla sopravvivenza del Recovery. La Corte Costituzionale tedesca, infatti, si è messa di traverso sulla strada del Next generation Eu, imponendo al Capo dello Stato, Steinmeyer, di aspettare il proprio pronunciamento, prima di ratificarlo.

Il che ne bloccherà – secondo il ministro delle finanze Scholz – l’iter approvativo per non più di tre mesi. Nella speranza, ma non senza qualche dubbio, che ciò si avveri, mi sembra giusto proporre qualche riflessione sui risultati della due giorni della ministra, Mara Carfagna “Sud – Progetti per ripartire”, per delineare le strategie di sviluppo del Mezzogiorno, in ottica Pnrr. Che, al di là delle narrazioni ufficiali, non pare aver ottenuto i risultati sperati

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Nell’occasione, tanto il premier Draghi, quanto il ministro dell’economia, Franco e quella per la coesione, ci hanno proposto un ripasso di ciò che è stato e tanti annunci futuribili, ma niente di effettivamente concreto.

Hanno ribadito ciò che è noto a tutti da tempo ovvero che nel decennio 2008-2018 gli investimenti nel Mezzogiorno si sono dimezzati da 21 miliardi a poco più di 10 e che «a fronte di 47,3 miliardi di euro programmati nel Fondo per lo Sviluppo e la Coesione dal 2014 al 2020, alla fine dello scorso anno erano stati spesi poco più di 3 miliardi ovvero il 6,7% del totale. Che, nel 2017, in Italia erano state avviate ma non completate 647 opere pubbliche, che nel 75% dei casi, non si era nemmeno arrivati alla metà. E che Il 70% di questi era localizzato al Sud, per un valore di 2 miliardi».

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Di più, che «nel Mezzogiorno la quota di giovani che completano il ciclo di scuole superiori è più basso che nel Centro-Nord e che molti di loro emigrano portando altrove il proprio capitale umano e le proprie conoscenze». Ma non hanno chiarito che i colpevoli di tutto questo, non sono solo i meridionali, ma anche lo strabismo dei governi centrali che – approfittando della ignavia interessata di politici e classi dirigenti e del Sud – quando si è trattato di scegliere dove, come e quanto investire hanno sempre preferito il Centro-Nord piuttosto che il Sud.

Cosa che stanno tentando di rifare con i fondi Recovery. Tant’è che, continuano a fingere di non sapere che l’Italia si è vista attribuire dall’Europa più degli altri 26 Paesi, ma con l’obbligo di destinarne il 70% della sua dotazione al recupero dei ritardi del Sud. Preferirebbe investire al Nord anche quel 70%.

Ancora Draghi ha detto che «rafforzare la coesione territoriale in Europa e favorire la transizione digitale ed ecologica sono alcuni tra gli obiettivi» del suo governo. Perché «significa far ripartire il processo di convergenza tra Mezzogiorno e centro-Nord che è fermo da decenni».

Sarà, ma attenti, lo sviluppo dell’Italia del tacco, non è solo una questione di quantità di risorse o un’elencazione di infrastrutture fini a se stesse, ma di investimenti in opere al servizio dello sviluppo e, quindi, della comunità.

Per cui – come sottolineato nel saggio “Capitale Sud” edito da Iuppiter nel 2017 – la scelta deve partire da «un progetto complessivo di sviluppo dell’area che stabilisca quello che si vuole che il Sud sia: un’area a vocazione turistica, piuttosto che industriale o agricola o, magari, per i servizi; un mercato di scambio o una piattaforma logistica per il Mediterraneo. Perché solo quando si saprà cosa fare di questo territorio, sarà possibile stabilire come farlo, le infrastrutture che servono, le priorità operative e le strategie da seguire, perché lo divenga».

Altrimenti, continueremo a realizzare ponti dove non ci sono fiumi, ma non lo sviluppo del Sud. E senza dire che il Recovery – oltre la decisione dei giudici di Karlsruhe – aspetta il «sì» di 14 (fra cui la Germania) dei 27 Stati dell’Ue, senza i quali tutti i discorsi resteranno chiacchiere e le 2.800 assunzioni “pro Sud”, in conto recovery, entro luglio, di Brunetta e Carfagna solo promesse.

Setaro

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