La pandemia del Covid-19 ha devastato l’economia già in crisi per altre cause. Secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio, a fine anno 2020, sono oltre 300 mila le imprese che hanno chiuso i battenti e circa 200 mila le partite Iva che hanno seguito lo stesso destino.
I “ristori” offerti dal Governo, al di là dello strombazzare propagandistico che avrebbe voluto presentarli come salvifici, sono risultati del tutto insufficienti e non hanno potuto impedire la lunga catena di chiusure, fallimenti e persino suicidi, che si sono aggiunti alla mortalità per covid anche se non computati come tali. Inumidire le labbra a chi sta morendo di sete è sicuramente un gesto pietoso, ma che non può scongiurarne una fine impietosa.
I nostri governanti si aggrappano ai 209 miliardi del Recovery Fund, il fondo europeo messo su con i nostri soldi che, in una sorta di gioco di prestigio, in parte ci verranno elargiti “a fondo perduto” ed in parte ci verranno prestati: il tutto se faremo i bravi e rispetteremo le superiori indicazioni dell’Unione europea che, per il nostro bene, ce li darà a spizzichi e bocconi negli anni a venire.
Sempre che si riesca ad elaborare un Piano di spesa (Recovery plan) che sia di gradimento ai signori del vapore europeo che ci guardano con compassionevole apprensione. Cotanta generosità è sicuramente commovente ma, nel frattempo, dell’economia italiana rimarrà poco o niente.
Per capire perché, neppure di fronte ad una crisi senza precedenti e destinata ad aggravarsi, lo Stato non possa risarcire i propri cittadini dei danni subiti, occorre andare a vedere cosa prevedono i trattati europei ai quali ci si è voluti impiccare.
L’Unione europea è nata con lo scopo preciso di non aiutare gli Stati che ne fanno parte. Strano ma vero. Assurdo, ma codificato negli articoli dei trattati.
Imbevuta di malsana ideologia liberista, al di là delle fumose, alate espressioni che rinviano alla nobiltà di termini come pace, libertà, diritti, solidarietà, giustizia, trasparenza ed altri “valori” europei, la vera sostanza si riassume in «un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza» (art. 3 TUE).
Avendo messo nero su bianco, in ogni angolo dei trattati, che ci si deve scannare tra consanguinei, in nome della concorrenza e della competitività, si è giunti all’esplicito divieto, per la BCE e per il Sistema europeo delle banche centrali (SEBC), di aiutare finanziariamente gli Stati dell’Unione e qualsiasi altro ente pubblico o impresa pubblica. È vietato persino l’acquisto diretto (nel mercato primario) di titoli del debito pubblico.
Si fa una gentile eccezione solo per le banche pubbliche, che meritano lo stesso trattamento di quelle private (art. 123 del Trattato sul Funzionamento, TFUE). Lupo non mangia lupo nelle felpate stanze dell’usura.
Come se fosse questione da poco, alla BCE viene riservato «il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione dell’euro» e la totale indipendenza «nell’esercizio dei suoi poteri» (art. 282 TFUE).
Si aggiunga che, sebbene create dal nulla, «al momento dell’emissione le banconote in euro appartengono all’Eurosistema» (BCE e Banche centrali dei Paesi che adottano l’euro). Così parlò il Commissario europeo per gli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, in risposta ad una interrogazione parlamentare.
Inoltre, per impedire agli Stati di esercitare un minimo di sovranità monetaria, viene affidato all’Eurosistema il compito di «condurre la politica monetaria dell’Unione» e di «definire e attuare la politica monetaria dell’Unione» (art. 281).
Il tutto deve avvenire al riparo da qualsiasi interferenza da parte di istituzioni o autorità politiche centrali e nazionali di ogni ordine e grado (art. 13 0 TFUE).
Anche il tanto decantato principio di trasparenza non può tradursi in un dovere di pubblicità degli atti poiché ai vertici del Sistema bancario «le riunioni hanno carattere di riservatezza». Tuttavia, non si esclude che, per gentile concessione, si possa «decidere di rendere pubblico il risultato delle proprie deliberazioni» (art. 10, Prot. n. 4).
Il diritto del popolo “sovrano” di sapere cosa avviene nelle segrete stanze del potere finanziario viene esplicitamente negato e ricondotto alla discrezionalità di chi, invece, dovrebbe rendere conto di ogni aspetto del proprio operato.
E affinché venga scongiurata ogni tentazione di mettere il naso nello loro scartoffie, vale la copertura offerta dal “Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’UE” (art. 2): «Gli archivi dell’Unione sono inviolabili». Amen.
Siamo di fronte all’esproprio più subdolo e smaccato della piena sovranità degli organi politici, e per di più da parte di organismi sostanzialmente privati quali sono la BCE e le altre banche centrali rappresentate al suo interno. L’esplicito divieto di aiutare concretamente gli Stati e i popoli, in forte debito di ossigeno monetario fa il paio con la disinvolta libertà di finanziare le banche private spesso partecipate dagli stessi azionisti della BCE e dell’Eurosistema.
Delegare funzioni e decisioni politiche ad organi cui potrebbe spettare solo un ruolo tecnico di supporto e di consulenza, significa costringere gli Stati ad abdicare alla loro missione, eminentemente politica, di prendersi cura delle loro comunità.
Non a caso il termine politica deriva da Polis, la Città-Stato degli antichi Greci, e rinvia al dovere di ogni uomo libero, di dedicarsi agli affari pubblici e alla ricerca del comune benessere in virtù del suo status di cittadino, polites.
Chi non si curava del bene pubblico, ma preferiva crogiolarsi negli affari privati, veniva chiamato “idiotes“.
Dire che oggi siamo finiti nelle mani di una banda di “idioti” non è del tutto sbagliato, neppure etimologicamente.
Nuccio Carrara
Già deputato e sottosegretario
alle riforme istituzionali