L’uomo: «La telefonata di mio figlio sembrava surreale»
«Gli attimi più difficili sono stati quelli di non avere più certezza di rivedere mio figlio». Lo ha detto Pino, imprenditore del quartiere Barra di Napoli e padre del 15enne rapito ieri a San Giorgio a Cremano (Napoli) e poi rilasciato dopo alcune ore. «Si combatteva con questa continua pressione, la richiesta immediata di avere soldi, di incontrarmi, di dovermi liberare dalla Polizia», racconta il padre. «Ed essendo da sempre una persona sincera, anche in quella situazione, ho scelto di dire la verità: cioè che ero dalla Polizia che non mi avrebbe mai lasciato andare e fare cose di testa mia».
A chi gli chiede se ieri, durante le ore del sequestro, i rapitori gli avessero mandato foto del figlio o dato la possibilità di sentirlo Pino risponde: «Assolutamente no. Mio figlio l’ho sentito quando mi ha telefonato personalmente dal telefono di un ragazzo che ringrazio pubblicamente».
«Mi sembrava una telefonata surreale perché anche in quel momento ho dubitato di poterlo rivedere – ha spiegato il padre -. Ho poi chiesto a mio figlio di ricontattarmi con un altro numero di un’altra persona che ringrazio e che mi ha tenuto in videochiamata fino a quando sono arrivati i miei fratelli a prenderlo». L’uomo ha poi ringraziato le forze dell’ordine «per la prontezza che hanno avuto anche nel farmi rimanere lucido e di non farmi andare in preda al panico».
«Anche limitandone la libertà, abbiamo bisogno di avere nei confronti dei nostri figli un maggiore controllo, con tutti gli strumenti possibili e immaginabili: air tag, localizzazione e quant’altro, così da ostacolare le intenzioni dei malintenzionati», ha aggiunto.
«Purtroppo è grave dirlo – prosegue – ma in questo mondo di sprovveduti, e non parlo solo di Napoli ma a livello nazionale, per vivere meglio abbiamo bisogno di limitare un po’ la libertà dei nostri figli o almeno di vigilarla».
La ricostruzione
Pino spiega di aver ricevuto la notizia del rapimento «attraverso un messaggio verso le 8.10 in cui mi si diceva che, se non avessi avvisato la Polizia e avessi fatto ciò che mi dicevano loro, avrei rivisto mio figlio e non gli sarebbe capitato nulla». A chi gli chiede cosa avesse pensato in quel momento, risponde: «Ero in palestra. Inizialmente ho pensato si trattasse di uno di quei messaggi fake che a volte arrivano sui cellulari». Ha quindi contattato telefonicamente le scuole dei figli, per accertarsi che fossero presenti. E in quella del quindicenne «lui non c’era».
«Ho chiamato mio suocero che gestisce l’autolavaggio di famiglia per chiedere se ci fosse la macchina di mio figlio, che lui parcheggia lì. E quando mi ha detto che era al suo posto, sono andato nel panico perché ho capito che effettivamente era successo qualcosa. Da lì mi sono precipitato nei pressi del lavaggio e ho trovato Polizia, Carabinieri che erano stati allertati da passanti, dal titolare del bar. Poi è iniziato il tam tam dei messaggi, delle contrattazioni, di come prendere tempo per trovare la soluzione migliore».
Quanto alla richiesta estorsiva, «avevano chiesto 1 milione e mezzo, una richiesta per me surreale. Nonostante siamo piccoli imprenditori, la nostra è una famiglia modesta non così facoltosa».