Il professor Pepino a ilSud24: «Troppa gente la usa per visibilità»
C’è chi parla di inclusione. E poi c’è chi, come il professor Alessandro Pepino, ci mette la faccia. E le parole. Parole che scavano dove la politica non guarda, dove l’ipocrisia fa comodo e la burocrazia si protegge da sola.
- «L’università deve impegnarsi nella costruzione di nuovi modi di apprendimento»
- Le leggi ci sono. Ma restano sulla carta
- Piani di emergenza: «I disabili? Restano bloccati ai piani alti»
- La formazione (e gli attestati che non valgono niente)
- La legge del Dopo di Noi esclude chi ha più bisogno
- «Basta passerelle. Serve responsabilità»
Da oltre 40 anni è docente di Ingegneria Biomedica all’Università degli Studi di Napoli «Federico II» ed è stato, per più di 20 anni, il principale riferimento sul tema disabilità e dsa della “Federico II”.
Ha promosso progetti pionieristici, tra cui il più grande progetto di Servizio Civile Universale in ambito universitario — «Disabilità e inclusione» — che coinvolge ogni anno 50 volontari. Insieme al suo staff ha ideato la piattaforma BlindMath, pensata per rendere accessibile la matematica alle persone non vedenti. È stato l’ideatore di uno dei primi sistemi informatici per la mappatura e il monitoraggio delle barriere architettoniche (www.barriere.unina.it).
Collabora con il Garante per la Disabilità e l’Associazione Italiana Dislessia come referente per le attività di orientamento degli studenti con disabilità e dsa..
Nell’intervista rilasciata a ilsud24, il professor Pepino tocca temi importanti riguardati la disabilità.
«L’università deve impegnarsi nella costruzione di nuovi modi di apprendimento»
«I Dsa non sono persone con disabilità. Eppure, spesso fanno comunque gran fatica a superare gli esami universitari».
Il punto è tutto qui afferma il professore: l’università è, purtroppo, in generale, ancora progettata per chi ha una memoria forte, per chi segue il ritmo standard. Ma se il tuo cervello funziona in modo diverso, se hai un disturbo del neurosviluppo, resti indietro. Perché nessuno ti riconosce. Nessuno ti aiuta.
E aggiunge: «Nella percezione di molte persone un ragazzo con disabilità ha diritto a strumenti compensativi, mentre molti ritengono che una persona con disturbo del neurosviluppo non ne abbia alcun bisogno. Perché? Perché non c’è un deficit evidente, c’è solo – si fa per dire – un modo diverso di pensare. Ma questo diverso l’università non sa ancora gestirlo».
Il risultato? I ragazzi con disturbi dell’attenzione, della memoria, dell’apprendimento, vengono trattati come studenti svogliati. «Molti docenti pensano che non abbiano voglia di studiare. Ma la verità è che non possono farlo come gli altri. Non è una scelta. È fisiologia».
E la beffa è che spesso questi studenti sono quelli con la mente più brillante. «Pensiero laterale, creatività, problem solving.
Le aziende cercano proprio queste qualità. Purtroppo il sistema universitario continua a formare memorizzatori, mentre noi come docenti abbiamo la responsabilità di raccogliere e rispondere a queste nuove sfide educative e sociali».
Le leggi ci sono. Ma restano sulla carta
Normative come la 104, la 170, la legge Stanca, la convenzione ONU. Un impianto normativo robusto, lo definisce Pepino. Che però resta lì, inerte, se le persone non sanno applicarlo. Se non c’è una cultura della responsabilità. Se chi dovrebbe garantire i diritti, si gira dall’altra parte.
Piani di emergenza: «I disabili? Restano bloccati ai piani alti»
«All’università di Napoli Federico II, e in generale negli edifici pubblici della Regione Campania, i piani di emergenza non prevedono nulla per le persone con disabilità. Niente. Zero. Se scoppia un incendio, un terremoto, gli ascensori si bloccano. Tutti scappano per le scale, e chi è in carrozzina resta lì. Intrappolato».
Nei prossimi giorni, il più presto possibile, si terrà una conferenza sul tema. «Vogliamo che gli organi di governo ai vari livelli: Regione, Comuni, Protezione civile, Prefettura rendano conto pubblicamente di cosa stanno facendo – o non facendo – per garantire la sicurezza dei disabili in caso di emergenza, e in ogni caso facciano proposte concrete e indichino le responsabilità per le azioni a venire».
La formazione (e gli attestati che non valgono niente)
Poi il professor Pepino tocca una tematica caustica: la formazione degli insegnanti, educatori, logopedisti, assistenti sociali, insomma tutti coloro che hanno la responsabilità di farsi carico dei bisogni educativi e di sostegno delle persone con disabilità e Dsa.
«Oggi molti corsi finanziati con i fondi del Pnrr – quelli che dovrebbero migliorare le competenze di chi lavora nella scuola e negli ambiti– si svolgono in modalità standard: qualche ora di lezione frontale, quattro relatori ben retribuiti, attestati per tutti i partecipanti. Ma alla fine, cosa resta?»
La critica non è alla professionalità dei docenti. Ma al modello. «Tutti se ne tornano a casa con un bel foglio che attesta competenze che non hanno. Così non si forma nessuno. Si sprecano fondi. E si perpetua l’ignoranza».
E allora propone una soluzione: «Registriamo le lezioni. Mettiamole su una piattaforma di formazione on line. In tal modo chi vuole, con i suoi tempi ha modo di formarsi in modo efficace verificare la propria competenza attraverso appositi test di autovalutazione per poi chiedere ai propri dirigenti una reale valutazione. Solo così possiamo dire: sì, quella persona ha acquisito una competenza. Basta attestati a vuoto».
La legge del Dopo di Noi esclude chi ha più bisogno
C’è un’altra ferita aperta: la legge del Dopo di Noi, che dovrebbe garantire un futuro dignitoso alle persone con grave disabilità quando restano sole. Ma in Campania, chi ha più di 64 anni non può accedervi. È escluso per legge.
«È una follia. Queste persone rischiano ogni giorno. Fanno le scale senza aiuti, vivono in case non accessibili. E se non ricevono assistenza, l’unica alternativa è l’RSA. A spese della Regione. Ma non sarebbe più sensato aiutarli a casa loro?»
«Basta passerelle. Serve responsabilità»
«Troppa gente – politici, assessori, pseudo intellettuali, finanche genitori – usa la disabilità per propria visibilità e narcisismo. Per salire su un palco, fare una dichiarazione, mettersi una medaglia. Ma poi con quali benefici per migliaia di ragazzi e delle loro famiglie?».
«La questione non è culturale. È di responsabilità. Chi gestisce risorse e servizi deve garantire diritti. Se non lo fa, deve rendere conto».
Basta passerelle. Basta ipocrisia. Chi ha ruoli di potere, chi amministra, chi insegna, chi forma, deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte. E delle proprie omissioni.
Questa rincorsa sfrenata alla comunicazione e visibilità a tutti i costi, peraltro, non solo è inutile, ma anche dannosa, poiché offre il pretesto per le amministrazioni per assolvere ai propri impegni senza portare alcun risultato concreto.