“Tzimtzum. I giudici riluttanti” il romanzo di Salvati svela l’inganno della giustizia algoritmica

Venerdì 7 marzo 2025, nella Sala Caduti di Nassiriya del Consiglio Regionale della Campania, la premiazione del romanzo “Tzimtzum. I giudici riluttanti” ha rappresentato molto più di un semplice riconoscimento letterario.

L’incontro, promosso dall’associazione Sociologi per il Sociale in collaborazione con il Consorzio AdAstra Innovazione e Sviluppo, ha coinvolto il pubblico in un dibattito intenso sulla giustizia, sul ruolo degli algoritmi e sul senso della responsabilità umana nelle decisioni giudiziarie.

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Tra gli ospiti istituzionali presenti all’evento: la senatrice Vincenza Aolisio e il presidente della Commissione Bilancio della Regione Campania, Franco Picarone. L’autore ha ricevuto una scultura dell’artista Tonia D’Alessandro.

La rinuncia dei giudici e la metafora del Tzimtzum

La discussione ha visto protagonisti il ​​filosofo e sociologo Dario Gazzillo, Antonino Salvia  funzionario ministeriale e figlio di Giuseppe Salvia, vicedirettore del carcere di Poggioreale assassinato dalla camorra di Cutolo, Francesco Eriberto D’Ippolito, direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Vanvitelli, e Sergio Mantile, presidente di “Sociologi per il Sociale”.

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Nel libro di Salvati, i magistrati decidono di ritirarsi dal loro ruolo, evocando il concetto cabalistico dello Tzimtzum, il “ritrarsi” divino per permettere la creazione di un mondo imperfetto.

Questa scelta, pur apparendo un atto di umiltà, produce effetti drammatici. Affidare la giustizia a una Voce algoritmica, priva di volto e sentimento, non rappresenta la soluzione ideale che i giudici immaginavano.

Al contrario, si manifesta una giustizia fredda e impersonale, incapace di comprendere la sofferenza umana e distante dalle reali esigenze della società.

La falsa neutralità degli algoritmi: dietro ogni macchina c’è un uomo

Un tema discusso in modo appassionato durante l’evento riguarda proprio la neutralità apparente dell’intelligenza artificiale. Lo stesso autore ha evidenziato che ogni algoritmo porta inevitabilmente con sé gli stessi pregiudizi di chi lo ha creato.

Non esiste alcuna macchina davvero neutrale: dietro ogni algoritmo c’è sempre un essere umano che imposta regole e parametri.

Nel dibattito è stato sottolineato che l’intelligenza artificiale apprende su dati umani, influenzati inevitabilmente da stereotipi e convinzioni personali.

Delegare interamente alla macchina decisioni delicate in ambito giudiziario non elimina il problema degli errori. Lo trasforma, rendendolo più nascosto, meno trasparente e, dunque, più difficile da correggere.

Responsabilità e trasparenza nella giustizia umana

Uno degli aspetti che più ha colpito i presenti è stata la riflessione sulla responsabilità personale del giudice. I relatori hanno concordato sul fatto che solo un essere umano può rispondere personalmente delle proprie scelte.

La Voce algoritmica, al contrario, pronuncia sentenze irrevocabili senza motivazioni. In un sistema simile, chi può essere chiamato a rispondere degli eventuali errori?

La trasparenza nelle decisioni giudiziarie rappresenta un aspetto determinante per la fiducia della comunità verso la giustizia. Un sistema che non offre motivazioni alimenta sospetti, paure e teorie infondate.

Giustizia e società: una relazione complessa

Nel corso della discussione, i relatori hanno ricordato che ogni decisione giudiziaria è inserita in una rete complessa di rapporti sociali.

Nessuna sentenza nasce in isolamento totale: pressioni mediatiche, politiche e sociali pesano sul giudizio e influenzano inevitabilmente chi lo pronuncia.

Questa influenza non è eliminabile semplicemente sostituendo il giudice umano con un’intelligenza artificiale. Al contrario, rischia di diventare invisibile e più pericolosa.

La tensione costante tra legge astratta e realtà concreta rimane una contraddizione irrisolvibile per qualunque macchina.

L’algoritmo non ha gli strumenti per valutare la complessità emotiva e morale che caratterizza la vita umana. In tal senso, la tecnologia diventa soltanto una falsa promessa, non una risposta ai problemi reali della giustizia.

Preservare l’umanità!

Il romanzo di Antonio Salvati, premiato a Napoli da “Sociologi per il Sociale”, lascia un messaggio. L’opera non offre risposte definitive ma invita tutti noi a riflettere su quale tipo di società vogliamo davvero costruire.

Affidare completamente il destino umano a un algoritmo significherebbe perdere proprio ciò che rende prezioso il nostro essere umani: l’empatia, la responsabilità e la coscienza morale.

La giustizia degli uomini, per quanto imperfetta e limitata, resta dunque l’unica che possiamo accettare, perché porta con sé emozioni, consapevolezza e il peso delle decisioni.

L’evento ha lasciato agli ospiti presenti una domanda su cui riflettere ancora a lungo: davanti agli inevitabili errori della giustizia umana, siamo sicuri che l’alternativa di affidare il nostro destino a un algoritmo sia davvero migliore?

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