Riapre il cinema Metropolitan: il ritorno del multisala e la lotta contro i non luoghi

I nuovi proprietari del cinema Metropolitan hanno scelto la data

«Nelle viscere di Napoli, in una caverna di tufo che un tempo offriva riparo dalle bombe, stanno per tornare a danzare le ombre sul muro». Potrebbe sembrare l’incipit di un apologo di Platone rivisitato in salsa partenopea, invece è cronaca attuale: riapre lo storico Cinema Metropolitan situato nel monumentale palazzo Cellammare di via Chiaia.

La sala, ricavata da un ex rifugio antiaereo e trasformata negli anni ’50 in un cinema – all’epoca il più grande d’Italia – era chiusa da gennaio 2025. Grazie a un’insolita alleanza tra amministratori e cinefili, il cinema Metropolitan tornerà a proiettare film: data simbolo prevista il 19 marzo, 70° compleanno di Pino Daniele, anche se il documentario dedicato al celebre cantautore, sarà proiettato dal 28 marzo e non dal 19 marzo come trapelato inizialmente da più fonti.

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Il ritorno del cinema Metropolitan: istituzioni e cittadini contro il «non luogo»

La vicenda della riapertura del cinema Metropolitan va ben oltre la semplice cronaca locale: è diventata un caso emblematico di «diritto alla città» esercitato in chiave culturale. Quando la banca proprietaria dell’immobile (Intesa Sanpaolo) decise di mettere all’asta i locali e sfrattare il gestore storico, il rischio era evidente: poteva essere trasformato nell’ennesimo parcheggio o supermercato. L’idea di perdere quel presidio culturale nel salotto buono di Napoli ha mobilitato intellettuali, politici e gente comune.

«Niente parcheggio, né supermercato. A Chiaia resterà un presidio artistico!» titolavano i giornali, riportando la ferma posizione delle istituzioni: nel 2023 l’allora Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano aveva imposto un vincolo di destinazione d’uso culturale sull’edificio.

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In altri contesti, tuttavia, ha prevalso il cinismo del mercato – a Roma, ad esempio, una legge regionale consente di trasformare le vecchie sale in palestre o mega-negozi – ma Napoli ha scelto diversamente, rivendicando la funzione pubblica di uno spazio privato di valore collettivo. Per l’antropologo Marc Augé, luoghi come centri commerciali, supermercati o garage rientrano nei «non luoghi», spazi impersonali privi di identità storica e relazioni umane durature.

Il timore diffuso era che anche il cuore di Chiaia venisse colonizzato da un non-luogo, con la perdita di un luogo di memoria collettiva. Il Metropolitan, pur essendo un cinema commerciale, in quasi 70 anni di attività ha acquisito un’aura speciale: generazioni di napoletani vi hanno riso, pianto, sognato. È un contenitore di ricordi. Trasformarlo in un anonimo store avrebbe significato recidere quei fili di memoria.

Cultura e commercio: un matrimonio di convenienza?

Salvare il cinema Metropolitan, però, ha richiesto anche compromessi creativi. Se è vero che non diventerà un supermarket, è altrettanto vero che non tornerà a essere soltanto un multisaòa monumentale come un tempo. I nuovi proprietari hanno da subito manifestato l’intenzione di coniugare il business con l’arte.

Il grande schermo resta, ma affiancato da vetrine e tavolini. Una contaminazione che fa storcere il naso ai puristi, ma che riflette la realtà odierna, dove i confini tra luogo di cultura e luogo di consumo sono sempre più sfumati. Del resto, già entrando al cinema Metropolitan si trovava un fast food tematizzato (“Old Wild West”), quasi a ricordarci che l’esperienza estetica contemporanea spesso si accompagna a quella commerciale – biglietto in una mano e popcorn nell’altra.

Dopo una trattativa durata due anni e mezzo, i locali sono stati acquistati dal gruppo Pluricom per tre milioni di euro e la gestione è stata affidata a Circuito Cinema, società che riunisce Lucky Red, Bim, Ubu ed Europicture.

Cinema Metropolitan: come sarà

Secondo quanto riportato da «La Repubblica», Circuito Cinema sta lavorando per riaprire tutte e sette le sale, con un calendario che punta sulla varietà: film d’autore, pellicole per famiglie e appuntamenti con grandi nomi del cinema italiano, tra cui Luca Zingaretti, Valerio Mastandrea e Luca Guadagnini.

Il bar interno avrà un nuovo concept, con prodotti tipici locali accanto ai classici snack da sala cinematografica. Gli ex dipendenti del cinema Metropolitan sono stati riassorbiti dalla nuova gestione. La galleria d’ingresso, così come gli spazi comuni, verranno rinnovati per restituire al multisala un’identità più definita, dopo anni di incuria.

La ristrutturazione sarà progressiva: dopo la riapertura a marzo, inizieranno i lavori su due sale alla volta, senza mai interrompere le proiezioni. Entro ottobre il 90% degli spazi sarà rinnovato, con nuovi schermi, impianti aggiornati e poltrone più confortevoli. Il numero di posti vedrà una lieve riduzione dovuta alle nuove sedute, più ampie.

L’idea di Pluricom è quella di valorizzare i 6.700 metri quadri del cinema Metropolitan e gli ulteriori spazi non ancora utilizzati, tra cui una struttura di tre piani. Le cave di tufo, alte più di 35 metri, rappresentano un’opportunità straordinaria per dare nuova vita all’edificio, nel rispetto del vincolo storico e architettonico. Il progetto, che dovrà essere approvato dalla Soprintendenza, prevede la creazione di un’agorà contemporanea con spazi per giovani, bambini e attività culturali e commerciali.

Tra le iniziative in fase di studio c’è anche una tariffa speciale di 5 euro per le prime settimane, oltre a formule di abbonamento per i più giovani e l’introduzione di un «biglietto sospeso» per chi ha difficoltà economiche.

L’industria culturale manipolatoria

Un’ibridazione, questa, che potrebbe sembrare blasfema a chi, come Adorno e Horkheimer, vedeva nel cinema solo un prodotto dell’industria culturale manipolatoria. I pensatori della Scuola di Francoforte negli anni ’40 descrivevano il cinema commerciale come un meccanismo che riduce l’arte a merce e «espropria il pubblico della sua capacità di dare senso all’esperienza». Eppure, oggi è proprio un «tempio» di quella cultura di massa a essere difeso come bene da tutelare.

Dal «luogo di cultura» ai luoghi ibridi: l’evoluzione di un concetto

Il caso del cinema Metropolitan induce a riflettere su come si è trasformato il concetto di «luogo culturale» nel tempo. Un secolo fa, avremmo pensato a teatri, biblioteche, musei – spazi solennemente dedicati all’elevazione dello spirito. La Napoli borbonica del Settecento inaugura il Teatro San Carlo (1737), gloria dell’opera lirica europea, mentre nei caffè letterari e nei salotti si dibatteva di filosofia e politica.

Nel Novecento, con l’avvento della cultura di massa, nuovi luoghi si aggiungono: sale cinematografiche, arene sportive, televisioni nei bar. Gli intellettuali si divisero tra «apocalittici» e «integrati» – per dirla con Umberto Eco – ovvero tra chi disprezzava questi consumi popolari e chi invece li accoglieva con ottimismo. Oggi viviamo un’ulteriore metamorfosi. I luoghi della cultura tendono a mescolarsi con quelli del commercio e dell’intrattenimento, generando spazi ibridi.

Le librerie si dotano di caffetterie e ospitano concertini live; i musei si reinventano con bookshop e aperitivi al loro interno; le piazze storiche vengono allestite per proiezioni all’aperto sponsorizzate da brand.

Nel frattempo, i non-luoghi commerciali cercano di darsi una verniciata culturale: centri commerciali che ospitano mostre, auditorium dentro i mall, persino stazioni e aeroporti che diventano gallerie d’arte temporanee.

È il segno dei tempi: la cultura, se vuole sopravvivere negli spazi urbani contemporanei, deve scendere a patti con le logiche economiche, fare sistema con esse. Il Metropolitan, col suo modello «cinema + boutique», ne è l’esempio plastico.

Meglio un ibrido che nulla – sembrano dirci i decisori pubblici – specie in un contesto nazionale in cui le sale cinematografiche stanno scomparendo a ritmo allarmante (oltre 2.000 strutture chiuse in Italia negli ultimi 20 anni, 500 solo nel 2021). Di fronte al precipizio dei cinema indipendenti, Napoli sceglie una via integrata: preservare l’anima culturale del luogo rendendolo al contempo sostenibile sul mercato. Il cinema Metropolitan incarna proprio questa trasformazione.

Napoli e il suo patrimonio immateriale

Le istituzioni locali hanno agito da registi dietro le quinte: con vincoli, tavoli tecnici, incentivi e accordi hanno orientato un esito favorevole alla collettività. Certo, non manca chi sottolinea come sia un «lieto fine» agrodolce. Il multisala rivive in forma ridotta, segno che senza l’apporto del commercio pure la cultura non regge. È un equilibrio delicato: quanto mercato si può accettare per tenere in vita la cultura? La risposta napoletana, per ora, sembra ispirata a un pragmatismo illuminato: meglio un cinema con qualche negozio, che un altro pezzo di città sacrificato alla monocultura dello shopping.

Il Cinema Metropolitan riapre, dunque, come Fenice risorta dalle sue ceneri di celluloide, portando con sé una lezione più ampia sulla trasformazione degli spazi urbani. In un’epoca in cui tutto diventa merce e ogni luogo rischia di somigliarsi, la vicenda della sala di via Chiaia insegna che è possibile adattarsi senza rinunciare all’anima.

Apocalittici e integrati hanno trovato un compromesso tra quelle mura: le ombre proiettate sullo schermo torneranno a emozionare il pubblico, ma accanto alle ombre delle insegne luminose delle boutique. Forse è questa la natura dei luoghi di cultura nel XXI secolo: spazi porosi, contaminati, dove il commercio sostiene la cultura e la cultura nobilita il commercio.

Napoli, dal canto suo, incassa un piccolo grande successo nella tutela del suo patrimonio immateriale. Il cinema Metropolitan non sarà un museo né una chiesa, ma la sua riapertura vale come atto di fede laica nel potere aggregante dell’arte popolare. Viene in mente un detto di Eduardo: «Ha da passa’ ’a nuttata». Ecco, la lunga notte del Metropolitan è finalmente passata. Si riaccendono le luci in sala.

Setaro

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