Il Festival senza monologhi politici piace al 70,8 % dei telespettatori

Benigni abbatte le barriere e sfotte la destra come la sinistra

Certo, quest’anno al festival delle «canzonette», niente monologhi o meglio uno soltanto, quello di Benigni, che, però, stavolta è stato gradevolissimo. Ha preso in giro destra e sinistra, si è finto vicino a FdI, sostenendo che Giorgia «resterà a lungo». Senza spiegare, però, a chi si riferisse, la premier o la cantante. Ma considerarlo depoliticizzato, come ha scritto Senaldi, mi sembra un tantinello esagerato. Anzi! Tant’è che, grazie a Schlein, Conte, Anpi e giornalisti mainstream siamo un Paese sconfitto dalla storia.

Che per sentirsi vivo deve – a loro dire – cancellare un passato che fa parte della sua storia, risale a oltre 80 anni addietro, al quale neanche ha partecipato e di cui non ha alcuna responsabilità diretta, ma costringe a vivere il presente, guardando al futuro con gli occhi del passato. Al punto che finanche i principali protagonisti della maratona canora, prima di cominciare, nelle conferenze stampa di rito quindi, con rilancio media assicurato, hanno dovuto dichiarare il proprio antifascismo.

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Come se ai cittadini – più che le canzoni – interessasse sapere in quale parrocchia «pregano» Conti, Elodie, Giorgia e gli altri. Così l’élite giornalistica applaude, l’Anpi ringrazia, la sinistra sorride e il ridicolo cresce. Eppure – grazie agli attori quelli veri, e a dispetto del campo(santo) di sinistra – quest’anno sono addirittura esplosi gli ascolti (13,6 milioni di telespettatori e 70,8% di share).

Mi chiedo, allora, se non sia proprio per questo che gli italiani preferiscono Meloni e il centrodestra e scappano da una sinistra (vedi sondaggio Piepoli del 12 febbraio scorso), che semina odio e non ha più niente da dire.

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La Corte Penale Internazionale

Chissà se Meloni ha deciso di non accodarsi ai 79 Paesi che hanno censurato la mossa di Trump, contro la Corte Penale Internazionale, per sudditanza verso il tycoon o perché, non è pienamente convinta della sua utilità reale o non l’abbia fatto, piuttosto, perché ritiene abbia un valore solo simbolico. Se non per quanto riguarda la sua partecipazione allo spreco delle risorse dei cittadini che, poi, ne pagano il conto. E ciò per meno di mezza condanna all’anno.

Purtroppo, più che preoccuparsi di «punire gli autori di crimini di guerra e contro l’umanità» per cui è stata fondata, si occupa soltanto di come mettere in difficoltà i Paesi che non si adeguano ai suoi diktat e non si schierano dalla «parte giusta» della barricata: la sinistra.

E la decisione di indagare l’Italia sul caso Almasri per l’esposto di una presunta vittima (già, da parte sua, indagata per favoreggiamento dei clandestini) e per gli ululati di Pd, M5S e Avs – unitamente alla constatazione che la stessa vittima nel 2019 aveva denunciato per motivi analoghi il governo italiano, e la Cpi aveva fatto orecchie da mercanti, graziando i due premier: Gentiloni e Conte, mentre ora l’indagine è scattata con una velocità da primato del mondo dei 100 metri piani – ne sono la dimostrazione più lapalissiana. Giustamente, il ministro Nordio ha chiesto spiegazioni all’Aia per gli errori e le anomalie procedurali verificatesi nella presentazione a Roma del mandato di cattura per Almasri.

Una ballerina di seconda fila

E non può che far rabbia se – come del resto avvenuto anche per l’Ue (dove l’Italia per conquistarsi un ruolo di centralità ha dovuto aspettare ben 23 anni e l’arrivo a palazzo Chigi del governo di centrodestra con premier Meloni) – per la Cpi, nata ufficialmente a Roma il 17 luglio 1998, oggi, il Belpaese sia ancora una ballerina di seconda fila.

Certo, il prof. Prodi nel 1999 è stato il primo presidente della Commissione Ue! Lo so bene, ma per riuscirci, prima dovette piegarsi al ricatto degli altri dieci «soci» e, in particolare di Francia e Germania, e svendere la lira, accettando il peggior tasso di conversione, fra moneta nazionale 1.936,27 lire per un euro, seguito a grande distanza dal peggiore degli altri dieci ovvero lo scudo portoghese: 200,482 per un euro.

Il caso Anm

L’ex presidente dell’Anm, Palamara, dopo il voto per il rinnovo dei vertici dell’associazione magistrati, aveva detto che, pur avendo vinto la corrente di Magistratura Indipendente vicina al centrodestra, non sarebbe cambiato niente perché le toghe rosse di Md e di Area Dg si sarebbero messe insieme e imposto le proprie volontà. Così è stato.

Addirittura, l’esponente di Mi, il procuratore aggiunto di Torino, Parodi, eletto alla presidenza dell’Anm, dopo avere – sua sponte – aperto al dialogo con il governo sulla riforma della Giustizia, è stato costretto non solo a rimangiarsi l’invito alla Meloni, che lo aveva accettato, ma a scusarsi con il sindacato, per aver osato proporlo e assicurare che, per lui, sulla riforma non ci sono margini di trattativa. E, intanto, le toghe rosse continuano pregiudizialmente a disapplicare le leggi del governo. Ebbene, a questo punto, forse, sarebbe il caso di accelerarne l’approvazione e chiedere direttamente agli italiani cosa ne pensano. Non vi pare?

Setaro

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