Emma Cianchi: «Un’opera intensa con un forte impatto visivo e sonoro»
Il 10 febbraio, in occasione del Giorno del Ricordo, al Ridotto del Mercadante di Napoli andrà in scena lo spettacolo «Memoria divisa», interpretato da Antonio Nicastro e curato dalla coreografa di fama nazionale Emma Cianchi, creato con Gilles Dubroca e Dario Casillo. Emma Cianchi è figlia di un’esule, che in un’intervista a ilSud24 ha raccontato la genesi e il significato dell’opera. Un lavoro artistico che nasce dall’urgenza di restituire memoria a una pagina di storia spesso dimenticata: l’Esodo Giuliano-Dalmata e il dramma delle foibe.
«Lo spettacolo nasce dall’esigenza di raccontare questo periodo storico, ma non è una narrazione sull’Esodo Giuliano-Dalmata», spiega Cianchi. «Si tratta invece di una performance installativa in cui il pubblico entra in uno spazio che richiama una foiba. L’intento è far vivere un’esperienza immersiva, restituendo la sensazione di oppressione, smarrimento, paura, quel senso di spaesamento che deve aver provato chi si è trovato all’improvviso privato della propria terra, della propria casa, della propria identità».
Il lavoro di Emma Cianchi affonda le radici in un’esperienza intima e familiare, che l’ha portata a confrontarsi con la mancanza di un riconoscimento storico di una vicenda che ha segnato profondamente la sua famiglia. «La creazione di questo lavoro nasce da un’esigenza personale, perché provengo da una famiglia Giuliano-Dalmata. I miei parenti furono portati a Napoli, mia madre era giovanissima, e furono accolti nel campo profughi di Capodimonte e poi scelsero di rimanere in questa città. Crescendo non ritrovavo nei libri di storia i racconti che avevo ascoltato, e per questo ho sentito il bisogno di parlarne».
La testimonianza
Una necessità che si è fatta ancora più forte con il passare del tempo: «Dopo l’istituzione della Giornata del Ricordo, mia madre, ormai anziana spesso è stata invitata a incontri nelle scuole per raccontare la sua esperienza di giovane profuga. Aveva circa 14 anni quando visse quei momenti. In occasione della posa di una targa commemorativa al Museo di Capodimonte, dove aveva vissuto per anni in un campo profughi, ho conosciuto Diego Lazzarich (delegato dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia per la città di Napoli, ndr.). Mia madre fu intervistata perché era tra le più anziane testimoni di quella vicenda e cosi i racconti si sommavano ai tanti che avevo ascoltato nel tempo. Quando si è presentata l’opportunità, ho realizzato questa opera insieme a un team di creativi Gilles e Dario.
Lo spettacolo
Memoria divisa non è uno spettacolo teatrale tradizionale, ma un’esperienza che coinvolge tutti i sensi dello spettatore. «Si tratta di una performance installativa: il pubblico entra in uno spazio immersivo, partecipando all’esperienza. È un’opera intensa, con un’ambientazione buia e un forte impatto visivo e sonoro, pensata anche per non vedenti. Non è una rappresentazione teatrale classica con testo e attori, ma un’esperienza multisensoriale. La performance risale al 2009 e, da allora, la nostra compagnia l’ha replicata più volte, spesso per le scuole. Diverse città che commemorano la Giornata del Ricordo, conoscendo lo spettacolo, mi hanno invitato a presentarlo.
Il silenzio istituzionale
Lo spettacolo vuole anche essere una riflessione sulla tardiva presa di coscienza dell’Italia nei confronti di questa tragedia. Per decenni, infatti, il tema dell’Esodo e delle foibe è stato rimosso o relegato ai margini della memoria collettiva.
Ma il problema, secondo Cianchi, va oltre l’aspetto politico: «La mia esperienza non riguarda solo la mancanza di memoria dell’evento, ma anche l’assenza di un riconoscimento per chi aveva perso tutto. Il riconoscimento è arrivato tardi, troppo tardi. Si tratta di dinamiche politiche su cui non rispondo. Sono un’artista e la mia percezione è che sia stato ingiusto. Di chi sia la colpa, non entro nel merito. So solo che nella mia famiglia, composta da molti membri radicati in Istria, ho conosciuto solo mio nonno, mia nonna e mia zia. Gli altri erano dispersi. Non è solo la gravità della strage degli italiani, che è stata enorme, ma anche tutto ciò che è seguito. Dal 1947 la Giornata del Ricordo è stata istituita solo nel 2004. Dopo quanti anni? Meglio tardi che mai, ma davvero troppo, troppo tardi».
Il ruolo dell’arte
Il silenzio istituzionale e il ritardo nel riconoscimento storico rendono ancora più importante il ruolo dell’arte nel mantenere vivo il ricordo. «Mi fa piacere che emerga l’esigenza di spettacolo. Come ho detto nasce dal mio bisogno di raccontare un disagio che non riguarda semplicemente l’appartenenza a una famiglia Giuliano-Dalmata, ma il fatto di non trovare nei libri di storia ciò che mi raccontava mio nonno. Gli dicevo: “Nonno, ma non c’è scritto nel libro di storia”. Non lo studiavo a scuola. Ricordo di averne discusso con il mio professore di storia, che poi cercava di parlarne basandosi sulle testimonianze e su ciò che si sapeva, perché in fondo si sapeva. Solo nel 2004 poi, dopo tanti anni, è stata istituita la Giornata del Ricordo».
Un ritardo che non deve tradursi in un nuovo oblio. «Non bisogna dimenticare, soprattutto questa parte del popolo italiano. I testimoni reali sono ormai pochissimi: dal 1947 a oggi sono passati quasi 80 anni. È fondamentale mantenere viva la memoria»