Teatro San Carlo: il tempio dell’opera che ha scritto la storia della musica europea

Un palcolscenico di eterne emozioni

«Gli occhi sono abbagliati, l’anima rapita. […] Non c’è nulla, in tutta Europa, che non dico si avvicini a questo teatro, ma ne dia la più pallida idea». Con questa frase, il letterato e scrittore francese Stendhal, nel 1817, descrisse il Real Teatro di San Carlo di Napoli. Più comunemente chiamato Teatro San Carlo, fu fondato nel 1737. È il più antico teatro d’opera del mondo ad essere tuttora attivo, il primo in Italia a istituire una scuola per la danza anticipando sia il «Teatro alla Scala» di Milano sia il teatro «La Fenice» di Venezia.

Originariamente progettato per ospitare 3.285 spettatori, ha visto la sua capienza ridotta a 1.386 posti a seguito dell’introduzione di normative sulla sicurezza. La struttura comprende un palcoscenico di 34×33 m e una platea di grandi dimensioni (22×28×23 m), cinque ordini di palchi disposti a ferro di cavallo, un ampio palco reale e un loggione. Riconosciuto dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità, è stato un modello di riferimento per molti altri teatri europei.

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Il Teatro San Carlo
Il Teatro San Carlo in una stampa antica

Fu costruito da Giovanni Antonio Medrano e Angelo Carasale e inaugurato il 4 novembre 1737, in occasione del giorno dell’onomastico del Re Carlo III, re di Napoli dal 1734 al 1759, dal quale prese il nome il teatro. La prima opera che andò in scena fu l’«Achille in Sciro» di Domenico Sarro e il libretto di Pietro Metastasio. Al principio le esibizioni si basavano solo sull’opera seria e di scuola napoletana; tra i tanti talenti ricordiamo: Niccolò Jommelli, Baldassarre Galuppi, Tommaso Traetta, Anna De Amicis, Celeste Coltellini e molti altri.

La costruzione del Teatro San Carlo

La sua costruzione, completata in soli otto mesi, fu supervisionata da Angelo Carasale, già direttore del Teatro San Bartolomeo. La struttura venne eretta accanto al lato nord del Palazzo Reale, al quale è collegata da una porta situata dietro il palco reale, permettendo al sovrano di accedere direttamente senza attraversare la strada. L’imponente edificio divenne il modello per i teatri italiani ed europei, influenzando capolavori architettonici come quello alla Scala di Milano e quello di corte della Reggia di Caserta.

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Nel 1767, in occasione del matrimonio di Ferdinando IV con Maria Carolina d’Austria, Ferdinando Fuga curò un rinnovamento degli interni, ridisegnando successivamente il boccascena nel 1778. Nel 1797 un restauro delle decorazioni fu affidato a Domenico Chelli. Elemento distintivo della sala erano gli specchi inclinati presenti nei palchi laterali, che consentivano agli spettatori di osservare il comportamento del sovrano o delle alte personalità presenti, poiché nessuno poteva applaudire o chiedere un bis prima di loro. Questa rigida etichetta regolava l’andamento degli spettacoli e garantiva che il «primo applauso» spettasse al re, o in sua assenza alla regina o ad altre figure aristocratiche, secondo un ordine gerarchico.

Il diciannovesimo secolo

L’incendio del San Carlo in un dipinto di Salvatore Fergola

Nel 1809, durante il regno di Gioacchino Murat, Antonio Niccolini fu incaricato di progettare una nuova facciata neoclassica ispirata al disegno di Pasquale Poccianti per la Villa di Poggio Imperiale a Firenze. Tuttavia, l’edificio subì un evento drammatico nella notte del 13 febbraio 1816, quando un incendio lo distrusse completamente. La ricostruzione, sempre diretta da Niccolini, durò solo nove mesi, restituendo alla città un teatro con dimensioni più ampie e numerose innovazioni. I colori originari, argento brunito e azzurro, simbolo della Casa Borbonica, vennero mantenuti, con decorazioni in oro.

I palchi, il sipario e il velario erano rivestiti di azzurro, mentre il palco reale era decorato con un rosso pallido, descritto da Stendhal come un’eccezione cromatica di grande eleganza. Il soffitto fu decorato con una monumentale tela dei fratelli Cammarano, raffigurante Apollo che presenta a Minerva i grandi poeti della storia. Fu inoltre aggiunto l’iconico orologio del proscenio, dove il Tempo è affiancato da una sirena che tenta di fermare il fluire delle ore, simboleggiando l’eternità dell’arte.

Dal 1834 al 1845 furono intrapresi ulteriori interventi, sempre sotto la supervisione di Niccolini, per modernizzare e adeguare il teatro San Carlo alle esigenze dell’epoca. Dopo l’unità di Italia nel 1861, ci furono ulteriori modifiche; Ferdinando II Borbone introdusse cambiamenti significativi, sostituendo i colori originari con l’abbinamento rosso e oro, tipico dei teatri d’opera europei. Nel 1872, furono realizzati il prospetto occidentale verso il Palazzo Reale e il «golfo mistico» per l’orchestra, su suggerimento di Giuseppe Verdi. Questa innovazione migliorò ulteriormente l’acustica del teatro.

Il dopoguerra

Il Novecento rappresentò un’epoca di grandi trasformazioni; venne creato un nuovo foyer progettato da Michele Platania che divenne uno spazio polivalente, ospitando concerti, eventi e cene di gala.

Lo stesso foyer però, durante la Seconda Guerra Mondiale, fu distrutto dai bombardamenti e fu nel 1937 e collegato ai giardini reali del Palazzo tramite un monumentale scalone a doppia rampa. Nonostante i danni, fu il primo a riaprire nel dopoguerra, dimostrando la sua centralità culturale.

Nel 1969, il gruppo scultoreo della Partenope, posizionato sul frontone della facciata principale e realizzato da Antonio Niccolini, si sgretolò a causa di un fulmine e delle infiltrazioni d’acqua. Negli anni successivi, ciò che rimaneva del gruppo fu rimosso, ma l’opera fu fedelmente ricostruita e ripristinata nel 2007 su iniziativa dell’associazione culturale Mario Brancaccio, sotto la direzione dell’architetto Luciano Raffin. Altre trasformazioni interessarono la struttura interna. Nel 1980 venne ripristinato lo stemma borbonico sopra il proscenio, rimuovendo quello sabaudo sovrapposto durante l’Unità d’Italia.

Gli anni 2000

Tra luglio e dicembre 2008, c’è stato un progetto di ristrutturazione e restauro, diretto dall’architetto Elisabetta Fabbri. Gli interventi hanno coinvolto ogni aspetto del teatro: dalla pulizia delle decorazioni in oro e cartapesta al restauro della tela del soffitto, un’opera di 500 metri quadrati che ha richiesto oltre 5.000 interventi di fissaggio e l’impiego di 1.500 chiodi. Il nuovo foyer, costruito al di sotto della sala teatrale, è stato arricchito da impianti tecnologici avanzati, tra cui un sistema di climatizzazione innovativo. Ogni poltrona della platea e ogni palco dispone ora di un sistema di ventilazione individuale per garantire il massimo comfort agli spettatori.

Sono state interamente sostituite le poltrone della platea, migliorando sia l’estetica che la visibilità e l’acustica, già ritenuta straordinaria prima dei lavori. I restauri, conclusi il 23 gennaio 2009, hanno celebrato la riapertura con una nuova inaugurazione, consacrando il San Carlo come un patrimonio culturale unico e uno dei più belli e acusticamente eccellenti al mondo.

Nel 2023, un nuovo importante restauro finanziato con 10 milioni di euro dal Ministero della Cultura, allora retto da Gennaro Sangiuliano, ha riportato alla luce i colori originari dell’epoca borbonica. L’azzurro e l’argento, che erano stati coperti da strati di rosso e oro nel corso dell’800, sono riemersi in particolare nel Palco Reale, dove alcune porzioni sono state lasciate visibili per testimoniare la sua storia cromatica. I lavori hanno coinvolto l’intera sala, il soffitto con la tela del Cammarano, il palcoscenico e gli impianti tecnici, restituendo al San Carlo il suo splendore settecentesco.

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Un simbolo dell’eccellenza

Durante il Settecento e l’Ottocento, divenne un simbolo dell’eccellenza musicale e artistica europea, attirando compositori e interpreti di fama internazionale. Tra i nomi più illustri che calcarono il suo palcoscenico spiccano Händel, Haydn e il giovane Wolfgang Amadeus Mozart. Nel 1770, il genio salisburghese, appena quattordicenne, soggiornò a Napoli per oltre un mese e assistette alla prima dell’«Armida abbandonata» di Niccolò Jommelli. Durante quel secolo, ospitò prime assolute memorabili, come «Clemenza» di Tito di Christoph Willibald Gluck, «Alessandro nell’Indie» di Johann Christian Bach e «Ifigenia in Aulide» di Vicente Martín y Soler, consolidando il suo ruolo di epicentro della cultura musicale europea.

Il periodo borbonico e le prime trasformazioni

Giovanni Paisiello

Nel periodo borbonico, lanciò figure di spicco come Domenico Cimarosa, che vi debuttò con «L’eroe cinese» nel 1782, e Giovanni Paisiello, che nel 1787 fu nominato direttore dell’orchestra. Durante la breve parentesi della Repubblica Napoletana del 1799, fu ribattezzato Teatro Nazionale, per poi riprendere il nome originale con la restaurazione monarchica.

L’Ottocento e la visione di Domenico Barbaja

L’Ottocento segnò una nuova era, a partire dalla gestione di Domenico Barbaja, impresario visionario che dal 1809 ne prese le redini. Dopo l’incendio, rimase chiuso per un periodo e riaprì il 12 gennaio 1817 con la cantata «Il sogno di Partenope» di Giovanni Simone Mayr.

Le stagioni operistiche e i grandi compositori

È stato il palcoscenico di alcune delle più importanti stagioni operistiche d’Europa. Gioachino Rossini, direttore musicale del teatro dal 1815 al 1822, compose e debuttò con opere come «Elisabetta, regina d’Inghilterra» nel 1815, «Armida» nel 1817 e «Mosè in Egitto» nel 1818. Dopo di lui, Gaetano Donizetti prese il ruolo di direttore artistico, durante il quale compose e mise in scena ben 17 prime assolute, tra cui il capolavoro «Lucia di Lammermoor» nel 1835.

Virtuosi e nuove prime assolute

Accanto ai grandi compositori, accolse anche virtuosi straordinari, come Niccolò Paganini, che vi si esibì nel 1819, e Vincenzo Bellini, che nel 1826 presentò la prima assoluta di «Bianca e Fernando». Saverio Mercadante, altro protagonista del panorama musicale, presentò ben 14 opere in prima assoluta, tra cui «L’ultimo giorno di Pompei» nel 1825 e «Saffo» nel 1840.

La censura borbonica e il rapporto con Verdi

Durante la seconda metà del regno di Ferdinando II, fu un periodo complesso, segnato dalla stretta censura imposta dalle autorità borboniche, che influenzò profondamente la programmazione artistica. Tra gli episodi più noti si ricorda il cambio di titolo dell’opera «Bianca e Gernando» di Vincenzo Bellini, ribattezzata «Bianca e Fernando» per evitare riferimenti politici sgraditi.

Questa tendenza colpì anche il rapporto con Giuseppe Verdi, uno dei più grandi compositori dell’epoca. Furono inizialmente vietate le rappresentazioni di «Il trovatore» nel 1853 e di «Un ballo in maschera» nel 1859, quest’ultima commissionata proprio dal San Carlo con il titolo «Una vendetta in domino». Tuttavia, a causa del rifiuto di Verdi di accogliere le modifiche richieste dai censori, l’opera non andò in scena a Napoli fino al 1862, dopo la prima romana del 1859 al Teatro Apollo. Nonostante queste difficoltà, il legame tra Verdi e il San Carlo rimase significativo; nel 1872, Verdi tornò al San Carlo con una straordinaria rappresentazione di «Aida», con la celebre Teresa Stolz.

La seconda metà dell’Ottocento

Nel corso della metà dell’Ottocento, il famoso palcoscenico accolse numerose altre prime assolute di rilievo; tra le opere rappresentate in quegli anni si ricorda la cantata «Danza Augurale» di Mercadante, eseguita nel 1859 per celebrare l’ascesa al trono di Francesco II di Borbone e il suo matrimonio con Maria Sofia di Baviera. Sempre in questo periodo, nel 1854, il sipario del teatro San Carlo fu decorato con il dipinto Omero e le Muse tra i poeti di Giuseppe Mancinelli e Salvatore Fergola, un’opera simbolica che esaltava la gloria poetica e musicale del teatro.

L’ingresso del repertorio wagneriano

Verso la fine dell’Ottocento, abbracciò il repertorio wagneriano grazie al maestro Giuseppe Martucci, che diresse alcune delle opere più iconiche del compositore tedesco: «Lohengrin» nel 1881, «Tannhäuser» nel 1889, «Tristano e Isotta» nel 1907, «Il crepuscolo degli dei» nel 1908. Oltre a Wagner, il teatro vide il successo delle opere di autori italiani contemporanei come Puccini, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Cilea e Alfano. Nel 1900, ad esempio, fu palcoscenico di una memorabile rappresentazione di «Tosca».

I grandi interpreti e il presente

Nel corso del Novecento e del nuovo millennio, il San Carlo ha visto esibirsi i più grandi interpreti della scena internazionale. Tra i tenori si annoverano Enrico Caruso, Luciano Pavarotti, Beniamino Gigli, Tito Schipa, Plácido Domingo, José Carreras, Alfredo Kraus e Franco Corelli, mentre tra i soprani spiccano Maria Callas, Renata Tebaldi, Magda Olivero e Montserrat Caballé. Il Teatro San Carlo continua a scritturare artisti di fama mondiale, come Anna Netrebko, Jonas Kaufmann e Cecilia Bartoli, confermandosi come una vera e propria istituzione della cultura operistica internazionale.

Setaro

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