Tanti fanno sapere che non voteranno il quesito sulla riforma approvata da un governo Dem
All’interno del Pd si amplia la platea dei riformisti che si schierano apertamente contro il referendum sul jobs act sostenuto dalla segretaria Elly Schlein: da Debora Serracchiani, passando da Alessandro Alfieri, a Simona Malpezzi, fanno sapere che loro non voteranno il quesito che ha passato il vaglio di ammissibilità della Corte Costituzionale. Una nuova spina per la leader, già stretta tra i centristi in fieri e i cattolici alla richiesta di maggiore spazio nel partito.
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Per ora le voci critiche si stanno facendo sentire singolarmente ma, a quanto si apprende, non è escluso che più in là – prima che il referendum entri nel vivo – possano chiedere un momento di confronto ufficiale al Nazareno sul tema. Schlein, dopo aver chiarito che il partito non farà mancare il suo contributo alla consultazione popolare («Io li ho firmati»), non torna sul tema.
Elly Schlein ignora il problema
È tutta impegnata ad incalzare Giorgia Meloni sulle dimissioni di Santanchè e ad affilare le armi dell’opposizione sul caso Almasri. Prima un vertice improvvisato con i leader di Avs, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, in Transatlantico, poi una conferenza stampa tutti insieme per denunciare la «gravità inaudita» di quanto accaduto, infine una lettera al presidente della Camera Lorenzo Fontana per chiedere alla premier di venire in Aula.
La levata di scudi
«Non ho firmato il referendum e non intendo fare campagna – dice Serracchiani, responsabile giustizia del Pd -. Sono passati dieci anni, la corte Costituzionale ha smontato quasi integralmente il jobs Act, quindi non capisco di cosa stiamo parlando. Detto questo, ci sono sensibilità diverse dentro al Pd, se alcuni sosterranno questa iniziativa non dobbiamo farci la guerra ma ragionare sul fatto che ci sono sensibilità diverse»
Su una linea molto simile Marianna Madia che preannuncia alla Stampa: «Quando ne discuteremo dirò che secondo me è una follia avvitarci in un dibattito vecchio e che votare questo referendum non servirà certo a ridurre il numero dei lavoratori precari in Italia». Secondo Tommaso Nannicini, sottosegretario nel governo Renzi e ‘padre’ del Jobs Act, il Pd sostiene la battaglia della Cgil «per opportunismo. Per scaricare le colpe collettive degli errori del Pd negli ultimi decenni solo sulla stagione di Renzi. Fare autocritica su altre scelte sarebbe più difficile», chiosa tagliente.
Esce allo scoperto anche Simona Malpezzi, capogruppo dem al Senato con Letta segretario: «I referendum sul Jobs act non mi appassionano. Non parteciperò al voto, poi vedrò tecnicamente se non ritirare la scheda o cosa. Schlein dice che lei ha una storia e io la rispetto molto. Ma anche io ho una storia e penso che le storie vadano rivendicate».