Il guadagno superiore a quello della droga: un chip al costo di un euro rivenduto a 50. L’ombra del clan Di Lauro
«Mi servono cento chip, quando me li potete caricare?». È una frase che, fino a qualche anno fa, si poteva sentire pronunciare in una porzione di territorio a Nord di Napoli, nell’ideale triangolo compreso tra Secondigliano, Casavatore e Arzano. I chip a cui si faceva riferimento erano quelli destinati alle Playstation, almeno le console di prima e seconda generazione. Con quei chip la console veniva «modificata» e riusciva a leggere cd contraffatti. Un business colossale, a pensarci.
Il mercato del falso è ramificato, tentacolare. E soprattutto cavalca la tigre dell’hi-tech. E quando c’è in ballo la tecnologia, ci sono in ballo alti guadagni. Un business da centinaia di migliaia di euro che uno degli epicentri dei suoi traffici nel cuore dell’area nord, a ridosso del rione dei Fiori, quello che è sempre stato noto anche come il bunker dell’organizzazione dei Di Lauro.
È lì che sarebbe stata allestita una vera e propria centrale di produzione di circuiti cifrati utili all’applicazione delle modifiche delle console dei videogiochi. In soldoni, è proprio a Secondigliano che sarebbero stati inventati e distribuiti i chip che servivano a modificare le Playstation. Un affare che ha generato un indotto dei più consistenti, perché proprio a Secondigliano si sarebbero riforniti persino rappresentanti e grossisti. Chi acquistava le Playstation di prima e seconda generazione, poteva comprarle già «modificate» con un piccolo sovrapprezzo. Il margine di guadagno? Impensabile. Un chip che costava ai produttori un euro veniva rivenduto a cinquanta. Con margini di guadagno superiori a quelli della cocaina.