La successione per linea di sangue mutuata dai Di Lauro: i capi del clan devono essere della famiglia
Il capo del clan sarebbe stato «il maggiore dei figli ancora in libertà». Quella decisione fu presa dal padrino di Secondigliano in persona, Paolo Di Lauro. Si era preoccupato di tutto, anche e soprattutto di chi avrebbe preso in mano le redini dell’organizzazione, di quell’impero del male che aveva creato in vent’anni di gestione silenziosa e manageriale, qualora lui fosse stato costretto a scappare o fosse finito in manette.
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Poi ci fu la guerra, quasi cento morti, sangue e vendette. La resa e le regole furono dettate dai vincitori a un tavolo in cui i Di Lauro capirono che non avrebbero potuto più mettere il naso fuor dal Rione dei Fiori. Sul trono la federazione scissionista e in capo a tutti gli Amato-Pagano, il sodalizio che prendeva il nome dai due luogotenenti diventati boss, Raffaele Amato e Cesare Pagano.
Dai Di Lauro mutuarono molto, soprattutto la linea di sangue al comando. I reggenti, quelli che hanno il potere ‘pro tempore’ potevano anche portare un altro nome. I capi no. Quelli devono essere della famiglia. Adottare una ‘linea verde’ non è stata una scelta consapevole, ma una necessità. Negli ultimi otto anni, infatti, sugli Amato-Pagano si è abbattuto un vero e proprio tsunami giudiziario. Era il 19 maggio del 2009 e la terra tremò sotto i piedi della federazione scissionista.
Il terremoto all’ombra delle Vele portò a 72 arresti tra ras e gregari del clan Amato-Pagano. Le indagini che portarono all’operazione ‘C3’ permisero di ricostruire le origini e le ragioni della faida di Scampia a Napoli. L’operazione fu denominata ‘C3’ dal nome in codice utilizzato da Raffaele Amato nel corso di una serie di conversazioni telefoniche captate dagli investigatori. Quello che è accaduto dopo è storia recente.
Dalla gestione gangsteristica di Mariano Riccio, al testimone passato nuovamente nelle mani di zia Rosaria Pagano. Fino a una nuova notte delle manette alla metà dello scorso gennaio. Da lì è stato come gettare acqua su un formicaio.
Il passaggio del testimone
‘Linea verde’ è stato l’imperativo dei ras. E allora il testimone è passato nelle mani di un minorenne della famiglia. Anche se ci sarebbe anche un cugino, giovanissimo, non si sa se minorenne o se già maggiorenne, che si sarebbe affacciato sul proscenio criminale del cartello di Melito e Mugnano. Su questo gli investigatori e gli inquirenti mantengono il più stretto riserbo.
Sono giovanissimi ma già capaci di guidare un clan. Ecco il profilo dei nuovi ras. Figli e nipoti dei boss detenuti che, ormai quasi adulti, li hanno sostituti alla guida del clan. Solo di recente, però, i loro nomi sono finiti nelle informative delle forze dell’ordine che ne hanno cominciato a monitorare i passi all’interno dell’organizzazione criminale. Un’ascesa favorita non soltanto dall’appartenenza alla ‘famiglia’ ma anche dalla ‘gavetta’ fatta sotto personaggi di spicco dell’organizzazione che avrebbero fatto loro da tutori.
In una delle ultime ordinanze si legge che presso l’abitazione del Mauriello si sarebbe recata Rosaria Pagano per discutere di un episodio verificatosi la notte precedente, in cui era rimasto coinvolto il giovane ras. Si trattò di una lite violenta avuta da giovane con una persona di colore che effettuava ‘servizio’ di parcheggiatore abusivo all’esterno di un’attività.
Nel corso della lite Mohammed Nuvo (poi ucciso, ndr) avrebbe estratto una pistola dandola nelle mani del giovane boss il quale, a sua volta, l’avrebbe utilizzata per colpire al capo il malcapitato uomo di colore che, vistosamente ferito, avrebbe lasciato il posto. Il titolare del posto avrebbe poi rassicurato Mauriello: faremo sparire le telecamere di sorveglianza. Tutto per tutelare il giovane boss. Adesso sono loro, la linea verde, al vertice degli scissionisti. I ribelli di seconda generazione avrebbero preso il controllo della federazione.