Martedì 17 il Governo incontra i vertici del gruppo nella speranza di salvare il futuro dei lavoratori
Il suo nome non circola molto, ma continua a esserci. Tant’è che, nei giorni scorsi, secondo diversi media, tra cui «Il Giornale» e da «ilSud24», per la sostituzione di Tavares alla guida di Stellantis «molti indizi porterebbero» al 50enne ingegnere napoletano Antonio Filosa. In Fiat dal 1999, capo del mercato americano e AD di Jeep, considerato un «astro nascente».
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Se la scelta dovesse veramente ricadere su di lui – insieme alla decisione della Meloni di assumere su di sé la delega per il coordinamento delle politiche del Mezzogiorno, che nel 2023 è stata la locomotiva d’Italia per Pil, con occupazione ed esportazione in crescita più della media nazionale, con la premier che ha già avviato un monitoraggio su quanto già fatto e sull’ancora da fare: incentivi, infrastrutture e investimenti; così come la decisione annunciata dal ministro Urso di mettere a disposizione della filiera dell’auto italiana risorse per almeno 750 milioni da utilizzare per supportare gli investimenti produttivi delle aziende – il Sud e, quindi, l’Italia non potranno che trarne vantaggio.
La concorrenza agguerrita
Ma dovrà superare concorrenti agguerriti vedi il 40enne, Edouard Peugeot, figlio di Robert, attuale vicepresidente non esecutivo di Stellantis, il quale vanta una carriera costruita prevalentemente a Londra, alla banca d’affari JP Morgan, attuale responsabile del fondo private equity TowerBrook, fondato dal padre; e Luca De Meo, allievo di Sergio Marchionne, di cui ha seguito le orme, evitando di gettarsi a capofitto – contrariamente a Tavares, ormai, rimasto quasi da solo, in difesa del divieto d’immatricolare auto a diesel e benzina dal 2035 – sull’elettrico e ha rimesso in moto la Renault.
Ma il nodo non sarà sciolto prima della metà del 2025. Quando, cioè, il Comitato speciale del consiglio presieduto da Elkann, completata la procedura di nomina, ufficializzerà il nome del nuovo Ceo permanente che sostituirà Tavares che lascia un’eredità non semplice da gestire.
Il crollo di Stellantis
E a dirlo sono i dati dell’attività del gruppo italo-franco-olendese nato nel 2021 dalla fusione fra la Psa (Peugeot) e Fca (Fiat) voluta proprio da Tavares che controlla 14 fra i maggiori marchi del mercato mondiale dell’Automotive. Numeri che danno la misura del fallimento della gestione dello strapagato supermanager portoghese il cui stipendio nel 2023 ha toccato i 23 milioni di euro e nel 2024 ha superato i 37, ed è atteso da una liquidazione, anch’essa vicina ai 37 milioni. Il che ne fa il manager meglio pagato del mondo. Con una retribuzione cresciuta in misura proporzionalmente inversa ai risultati della multinazionale trilingue che, negli stessi anni, sono andati decisamente peggiorando.
Con i ricavi che, nel terzo trimestre 2024, si sono fermati a 33 miliardi, registrando un calo del 27%, a causa crollo delle vendite a 1.148milioni di unità con una riduzione di ben 279mila veicoli ovvero il 20% rispetto al 2023; in Europa le immatricolazioni ferme tra luglio e settembre 2024, ad appena 496mila veicoli, rispetto ai 599mila del 2023, ben 103mila in meno, quindi; la vendita dei nuovi modelli, ha segnato un calo di 12 miliardi nell’ultima trimestrale. Da gennaio a settembre dell’anno in corso il gruppo ha venduto 1.550mila auto, 6% in meno rispetto allo stesso periodo 2023, con conseguente restringimento della quota di mercato dal 17% del 2023 al 15,9% attuale. In Europa nessuno sta andando peggio.
Nel frattempo il titolo Stellantis è crollato ad appena il 6,3% (risalendo poi, al 9,5 %), sono saltati oltre 10mila posti di lavoro in Italia (e almeno altrettanti, se non di più, considerando anche l’indotto, sono ancora a rischio).
Il silenzio e i dividendi
Ci si chiederà come mai, mentre il mondo Stellantis gli stesse crollando addosso, i posti di lavoro sfumassero, il titolo e il valore del gruppo precipitassero, azionisti e sindacato, Schlein e Conte, hanno taciuto, risvegliandosi solo adesso che la frittata sta per essere servita in tavola e consumata.
È presto detto, perché Taveres è stato così bravo da distribuire in questi ultimi 4 anni – pur in piena crisi e mentre i numeri del gruppo precipitassero, tra dividendi e riacquisti delle proprie azioni ben 23 miliardi di euro, mentre nella cassa dell’Exor – ex cassaforte di casa Agnelli, oggi Elkann-Agnelli – con il 14,9% del capitale, principale azionista di Stellantis, sono entrati ben 3 miliardi. Alla faccia dei lavoratori che dai 53mila di gennaio 2021 (ovvero al momento del parto di Stellantis) sono crollati ai poco più di 40mila attuali.
Mentre Landini (anche grazie allo scannetto fornitogli da Bombardieri) avendo deciso che è arrivato il momento della «rivolta sociale» e di rivoltare il Paese come un guanto, ha preferito guadagnarsi con il silenzio e parlando d’altro, l’onore delle prime pagine dei quotidiani «La Repubblica» e «La Stampa» di proprietà della Gedi, a sua volta, proprietà di Elkann. Senza alcun rispetto dei lavoratori che quest’anno rischiano di trascorrere un bruttismo e gelido Natale.
L’aiuto dello Stato
E questo per un’azienda che, per arrivare ai livelli pre Stellantis, è costata allo Stato – i nostri lettori ricorderanno di averlo già letto su queste colonne a marzo del 2022 – dal 1975 al 2012, 220 miliardi di euro che tradotti in monete del vecchio conio corrispondono a 425.979 miliardi e 400 milioni di lire. E mancano quelle concesse dal 1899 al 1975 e dal 2012 ad oggi. Non pochi.
A partire dalla guerra in Libia, infatti, la Fiat, ha prodotto e fornito armi, mitragliatrici, esplosivi, mezzi terrestri, navali e aeronautici, all’esercito. E non certamente gratis. E, per almeno un’altra decina di miliardi dal 2012 ad oggi. Sarebbe il caso che, nell’incontro di martedì 17, nel presentare il piano industriale per l’Italia, garantendo occupazione e investimenti negli stabilimenti nazionali, l’azienda tenesse conto anche di questo e rivedesse gli accordi con Trasnova e Logitech, facendo richiamare così le 147 lettere di licenziamento inviate dalle aziende ai propri dipendenti.