Rossano Apicella dava ordini dal carcere con cellulari illegali. Il caso dell’acquirente fermato dai carabinieri: scoppia in lacrime e rivela tutto
L’indagine che ha portato all’arresto dei cinque specialisti dello spaccio del gruppo Apicella di Gragnano fa emergere alcuni retroscena. Il capo, Rossano Apicella, benché, all’epoca delle intercettazioni, fosse in carcere, sarebbe riuscito a dare ordini grazie a cellulari di cui era in possesso all’interno dell’istituto. I telefoni gli servivano per parlare con i familiari.
Secondo gli inquirenti, in assenza di Apicella, le redini del gruppo erano state prese dalla moglie Rosaria Vitiello, che relazionava fedelmente e puntualmente al marito detenuto (attraverso il telefono) circa quanto accadeva all’esterno. Parlando del business che era materialmente gestita dal figlio Dario Apicella e da Vincenzo Donnarumma, che a lei facevano capo. La Vitiello riceveva direttive ed indicazioni dal marito e le trasmetteva ai sottoposti.
La famiglia era al centro del business e persino la casa di famiglia aveva un ruolo di fondamentale. Ubicata in via Volte di Gragnano, Apicella e la stessa Vitiello appaiono «ossessionati dalle attività di videosorveglianza» che – non a torto, verrebbe da dire – ipotizzavano essere in corso da parte degli inquirenti e quindi dalla necessità di adottare contromisure organizzative efficaci e adeguati meccanismi di occultamento della droga.
Oltre alla base di spaccio in casa degli Apicella, Vincenzo Donnarumma, Dario Apicella ed i loro collaboratori (tra cui Salvatore Pio Pennino) gestivano anche un’estesa attività di spaccio di stupefacenti di vario genere con modalità delivery (cioè consegnando le dosi richieste dagli acquirenti a domicilio). La casa di via Volte, come temevano gli Apicella, era sotto controllo.
L’acquirente identificato
In un caso, un acquirente è stato identificato nel corso di un servizio di polizia. Le fasi sono state immortalate in un video. L’acquirente si dirige verso la scala degli Apicella per poi uscire subito dopo, incamminandosi verso via Marinai d’Italia, dove viene fermato e sottoposto a controllo dai carabinieri i quali, peraltro, non trovano nulla addosso. L’uomo, a cui viene richiesto di fornire giustificazioni in merito alla sua presenza in quel luogo, dichiara che, dovendo salutare un amico, si era recato nei pressi della pizzeria di via Volte, dove avrebbe parcheggiato senza entrare da nessuna parte, restando fermo sulla strada. Era una bugia e le immagini lo testimoniavano. Accompagnato in caserma per essere sottoposto a perquisizione, l’uomo inizia a piangere dicendo che avrebbe voluto collaborare, ma temeva per la sua incolumità.
Il racconto
Dopo essere stato rassicurato, il fermato ha riferito di essersi recato presso l’abitazione degli Apicella per acquistare marijuana. Ha precisato, inoltre, di acquistare lo stupefacente presso quell’abitazione già da anni e che in precedenza aveva acquistato anche cocaina.
L’uomo ha poi riferito che poco prima si era recato, come era solito fare, presso l’abitazione degli Apicella, di aver bussato al campanello ma di non aver potuto perfezionare il suo acquisto, perché una donna presente in casa gli aveva detto che non c’era nessuno, invitandolo a ritornare più tardi.
Su specifica richiesta dei Carabinieri, l’uomo ha risposto che, ogni volta che si recava lì per acquistare la droga, dopo aver suonato al campanello d’ingresso, qualcuno lo faceva entrare all’interno della casa e contemporaneamente, un ragazzo con barba folta o altro più giovane, biondino, figlio piccolo degli Apicella, tirava una tenda separé, che serviva per non permettergli di vedere in direzione del soggiorno/cucina, dove si sentivano regolarmente le voci di donne e bambini.
Dopo aver avanzato la richiesta del tipo e quantitativo di stupefacente, uno dei due giovani usciva dall’appartamento e chiudeva la porta blindata dell’ingresso, mentre lui rimaneva all’interno in attesa della consegna dello stupefacente.
Le richieste via WhatsApp
L’uomo ha aggiunto che le modalità erano sempre le stesse e che solo per un periodo le richieste preliminari dello stupefacente venivano fatte tramite chat WhatsApp verso il numero registrato nella rubrica del suo cellulare sotto il nome falso «Aldo».
In quelle occasioni, le consegne avvenivano secondo un modello di spaccio itinerante, eseguite o dagli stessi abitanti dell’appartamento degli Apicella o da altri ragazzi che spacciavano per conto loro, utilizzando quale mezzo uno scooter Honda Sh. Infine, l’acquirente ha mostrato la chat di WhatsApp relativa alla richiesta di acquisto avanzata in linguaggio criptico verso il numero memorizzato con il nome «Aldo». Quell’utenza, sebbene intestata a uno straniero, era in uso a Vincenzo Donnarumma.
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