Le rivelazioni del pentito Cerrato: «Lasciavano la casa già a due anni. De Pasquale fu ucciso perché si credeva fosse il cugino di Cosimo»
Quando si porta un nome pesante, il legame di parentela può proteggere più delle scorte armate. Era così per Cosimo Di Lauro ai tempi in cui Secondigliano era il ‘feudo’ di famiglia. Bastava essere il figlio di Paolo Di Lauro, detto il milionario, per non dover temere di girare per le vie del quartiere senza doversi guardare continuamente intorno, senza abbassare il capo e farsi trasportare a tutta velocità verso covi nascosti mentre i mirini delle pistole si muovono rapidamente da una direzione all’altra pronti ad offendere per difendere.
Indice Articolo
Cosimo Di Lauro era ‘protetto’ dal cognome che portava, dal potere di cui godeva la cosca, dal carisma e dalla diplomazia che avevano fatto del padre uno dei più influenti boss della camorra. «Girava sempre accompagnato da due guardaspalle – racconta un investigatore – ma non erano armati per ordine del giovane boss. Di solito si muovevano in moto». Mai un fermo per possesso di armi.
Il rampollo del milionario non aveva bisogno di mostrare il ‘piombo’ per farsi rispetta re. Aveva imparato dal padre che il rispetto si conquista con il potere e il carisma del leader. Quella stirpe criminale dinastica, tuttavia, aveva delle peculiarità singolari. Lo racconta un collaboratore di giustizia, Carmine Cerrato, ’a recchia, all’anagrafe di camorra.
L’omicidio De Pasquale
Nel verbale in cui parlava dell’omicidio di Gennaro De Pasquale fece una digressione curiosa. «L’omicidio è avvenuto agli inizi di novembre del 2004, era l’inizio della prima faida. La vittima era imparentata con Cosimo Di Lauro, si diceva che era il cugino in quanto la madre di Spasiello, che aveva un terreno adiacente al palazzo di Paolo Di Lauro, era la madre putativa di Salvatore Di Lauro, fratello di Cosimo».
La famiglia Di Lauro
Il pm, a quel punto, chiede: «Ma i figli di Paolo Di Lauro non avevano la madre, che è la moglie di Paolo Di Lauro?». Cerrato fu più preciso: «Voglio spiegare che i figli di Paolo Di Lauro, all’età di un anno e mezzo, due anni, venivano cresciuti da altre famiglie di Secondigliano estranee alla criminalità. Ad esempio, Antonio venne affidato ad una famiglia che abitava in un palazzo a Secondigliano di fronte al negozio di tale Pachialone. Conosco solo le famiglie che hanno cresciuto Antonio e Salvatore Di Lauro».
De Gennaro non era una vittima predestinata della faida ma lo divenne per caso. «I nostri capi ossia, Raffaele Amato e Cesare Pagano, spesso su richiesta di Vincenzo Notturno, dicevano, a noi dei gruppi di fuoco, di girare per Secondigliano e Scampia alla ricerca di persone affiliate al clan Di Lauro o, comunque, molto vicine» a loro. La guerra in quei quartieri si combatteva anche così.
I primi sentori di una crisi interna ai Di Lauro si erano avvertiti nell’ottobre del 2003 («Da quando è andata la zia mia vecchiarella qui è diventato un manicomio aperto… ma non solo la vecchiarella… anche altri compagni bravi», si sente dire in una conversazione tra capizona intercettata dagli inquirenti il 7 ottobre 2003). La guerra esplode nella primavera del 2004 e lascerà a terra quasi cento morti.