I parenti del ras Ferone avvisati dagli Amato-Pagano: «Non date fastidio alla povera gente»

di Enrico Biasi

L’intercettazione tra Mauriello e Cipressa: «Si rubano le macchine di quelli che scendono la mattina a lavorare. Già li richiamammo. Allora devono abbuscare…»

Spiavano gli 007 anticamorra. Ascoltavano. E ogni parola e persino ogni silenzio indicavano qualcosa. Aggiungevano un tassello al grande rompicapo che rappresenta il magma criminale che va da Melito e Mugnano a Casavatore, passando per le Vele di Scampia e per le case popolari post terremoto di Secondigliano. Una lunga linea rossa rosso carminio, lo stesso colore del sangue vivo nel momento esatto in cui esce da un corpo che muore.

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I pezzi che mancano, le conferme, le aggiungono i pentiti. Quando si è fortunati quei tasselli mancanti danno la stura a un’indagine a cui mancava solo quel quid per cambiare pendenza, ribaltarsi come un saliscendi per bambini e portare a far fioccare ordinanze al suono tintinnante delle manette. Quando si è fortunati. In altri momenti si tratta solo di lavoro certosino. Da orologiai. Parole e mezze parole, come piccole rondelle di un ingranaggio che, incastrandole bene, danno il senso a una frase, rivelano un contesto. Se non funzionano, sono incomplete o incomprensibili, c’è il rischio di rendere inutilizzabili ore e ore di ascolto.

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La rondella ‘1928’

In uno dei provvedimenti che hanno colpito il gruppo Amato-Pagano quelle rondelle appartengono a Ciro Mauriello e a Giuseppe Cipressa. Intercettazione ‘1928’. Si parla del clan, della sua operatività, della droga, del comparto estorsioni. Di affari, insomma. Sporchi. Ma anche dell’aspetto militare dell’organizzazione. E si parla dei rapporti con altri clan, come quelli della Vanella Grassi, i ‘girati’, ovvero gli scissionisti della seconda ora. E si parla di altri gruppi, come dei Ferone di Casavatore. Il magma criminale è questo. Fluido e compatto nello stesso tempo.

Li chiamano «gente di Casavatore» i due. Parenti di Ernesto Ferone. Persone che avrebbero dato «fastidio». Non al clan questo no. Ma alla «gente», alle persone comuni. Lo avrebbero fatto commettendo piccoli reati. Qualcuno li aveva per sino avvertiti, come il defunto Mohamed Nuvo (defunto perché morto ammazzato). Avvertiti per interposta persona. E’ così che si fa in certi ambienti. Si ‘avverte’ prima di agire, come si alza una sorta di cartellino giallo. Ma se c’è un altro fallo non segue un rosso, ma un pestaggio. A chi stava dando «fastidio» avrebbero dato, come passaggio successivo «una lezione», perché «se la prendevano con la povera gente». «Si rubano le macchine della povera gente, di quelli che scendono la mattina a lavorare». È questa l’esclamazione che raccoglie la ‘cimice’. «Già li richiamammo a questi qua».

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L’altro, come a finire la frase: «Si rubarono due cassette di finocchi… e dice che l’hanno fatto un’altra volta sabato o domenica». La risposta è perentoria: «Allora devono abbuscare… li dobbiamo prendere malamente». «E questi qua della Vinella li hanno presi malamente», incalza l’altro, poi continua «dice perché si prendono questa confidenza questi scemi… addirittura già hanno il precedente… allora perché lo fanno perché… non ci pensano proprio veramente?».

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