Per gli inquirenti tenendosi in contatto costante con i parenti del sindaco ucciso si sarebbe garantito le informazioni
«Il nostro salvatore»: così la famiglia di Angelo Vassallo, il sindaco-pescatore di Pollica ucciso a colpi di pistola il 5 settembre 2010, definiva il colonnello Fabio Cagnazzo, oggi arrestato dal Ros e dalla Procura di Salerno con l’accusa di avere preso parte all’assassinio insieme con un altro carabinieri e altri due indagati. E quel rapporto di amicizia instaurato dopo la tragedia, altro non era, per gli inquirenti che «un tassello di non trascurabile rilievo» della sua attività di depistaggio.
Per gli investigatori infatti tenendosi in contatto costante con la famiglia del sindaco ucciso Cagnazzo si sarebbe garantito tutte le informazioni circa lo sviluppo delle indagini. Il militare già dalle prime ore successive alla morte di Vassallo aveva puntato dito contro uno spacciatore della zona, Bruno Humberto Damiani, incriminato e poi scagionato. La famiglia della vittima ha sempre definito Cagnazzo «molto presente». A casa Vassallo era stato costantemente per cinque giorni dopo l’omicidio. E, invece, per il Ros di Roma e l’ufficio inquirente del procuratore Giuseppe Borrelli, risulterebbe coinvolto in quel traffico di droga che Vassallo voleva sgominare.
Alla figlia di Angelo, Giuseppina, già durante il sopralluogo sul luogo del delitto, – viene ricordato nell’ordinanza – non smetteva di ripetere che si sarebbe adoperato per assicurare alla giustizia il responsabile dell’omicidio (nei giorni successivi indicato appunto nel «brasiliano») dicendole «ti porterò gli assassini di tuo padre». II giudice definisce «evidente il disegno di condizionamento psicologico dei familiari del sindaco Vassallo verso la percezione del ‘brasiliano’ come autore dell’omicidio», influenza che tentava di infondere anche alle persone estranee alla famiglia.