Camorra, alla sbarra Michele Senese «il capo di Roma»

di Fabio Maresca

Si apre il secondo processo d’Appello per il boss. Da emissario dei Moccia a padrino della Capitale

Si aprirà il prossimo 18 novembre il processo d’Appello bis nato dalla maxi inchiesta della Dda di Roma ‘Affari di Famiglia’ dopo che la Corte di Cassazione ha annullato lo scorso febbraio l’assoluzione di Michele Senese, detto ‘O’ Pazz’. I supremi giudici della seconda sezione penale, accogliendo sostanzialmente il ricorso della Procura di Roma contro la sentenza che il 9 febbraio dello scorso anno aveva assolto Senese facendo anche cadere l’aggravante dell’agevolazione mafiosa, avevano disposto un nuovo processo d’Appello.

In primo grado c’erano state una ventina di condanne, tra le quali la moglie Raffaella Gaglione, il figlio Vincenzo e il fratello Angelo e altri imputati, per oltre 120 anni di carcere per accuse che vanno dall’estorsione, all’usura, riciclaggio e trasferimento fraudolento dei valori. Michele Senese, già condannato in via definitiva nel 2017 a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Carlino avvenuto il 10 settembre 2001 a Torvaianica, sul litorale romano, era stato condannato a 15 anni. Sentenza poi ribaltata in Appello con l’assoluzione.

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Le accuse per Michele Senese

Secondo l’accusa Michele Senese anche dal carcere continuava a coordinare e gestire le attività illecite della famiglia stabilendo la strategia criminale, scambiando ‘pizzini’ con i familiari durante i colloqui, in particolare con il figlio Vincenzo, e con la moglie, Raffaella Gaglione.

In almeno due occasioni, Senese, per gli inquirenti, si era scambiato con il figlio, senza farsi notare dal personale di vigilanza, le scarpe rispettivamente indossate per scambiarsi messaggi. «Cioè, qui stiamo parlando de… che è il capo di Roma! No il capo di Roma, il capo…il boss della camorra romana!!! Comanda tutto lui!!», diceva uno degli arrestati riferendosi Senese in un’intercettazione riportata nell’ordinanza del gip.

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La decisione della Cassazione

Per i supremi giudici, come hanno scritto nelle motivazioni, «la Corte di appello ha concluso per l’assoluzione di Senese senza fornire una spiegazione logica del perché egli dovesse essere costantemente messo al corrente dai familiari delle varie iniziative economiche dei componenti della famiglia ed in particolare del figlio Vincenzo e perché, se effettivamente fosse stato estraneo a quegli affari, avrebbe dovuto adirarsi per il tenore degli impegni presi».

Per la Cassazione, «la sentenza di appello ha sbrigativamente liquidato la questione dell’aggravante mafiosa» ed «è emblematico che il sodalizio in questione venisse percepito all’esterno, come ‘clan Senese’ e non come ‘Michele Senese e altri’, in quanto l’elevata caratura criminale del capo evidentemente aveva strutturato intrinsecamente quella del gruppo e con essa ha finito per confondersi». Per il prossimo 18 novembre è prevista la relazione e la requisitoria della procura generale nel nuovo giudizio d’Appello

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