Giulia Cecchettin, Turetta racconta l’orrore: «Ho iniziato a colpire più velocemente possibile»

di Virginia Iadonisi

L’imputato: non mi voleva e l’ho uccisa

«Volevo stessimo insieme, noi due soli. Passare del tempo assieme, prima eventualmente di toglierle la vita, anche se non lo avevo ancora deciso». Filippo Turetta, per la prima volta in aula di Tribunale – con Gino Cecchettin a pochi passi da lui che lo scruta – racconta l’orrore e la violenza di un anno fa, quando iniziò a progettare di rapire l’ex fidanzata, Giulia, ed «eventualmente» ucciderla, portando a termine questo piano feroce la sera dell’11 novembre.

Sentito dal Pm Andrea Petroni, dai legali di parte civile che assistono la famiglia della ragazza, e dai suoi avvocati di fiducia, Turetta che nell’intera giornata ha parlato di ‘lei’ senza mai dire il nome Giulia si affida ad un’ultima memoria, 80 pagine scritte a mano ed in corsivo, piene di cancellature ed aggiustamenti. In quei fogli racconta ciò che precede il femminicidio, quel chiudere Giulia in una sorta di prigione, cercando dapprima la strada per una riappacificazione con la studentessa che l’aveva lasciato, e poi progettando, con tanto di lista delle cose utili per un killer, il rapimento. Ed infine l’omicidio della giovane.

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Tra le dichiarazioni già acquisite nel fascicolo processuale, e le nuove memorie consegnate ai giudici, Turetta ha cercato di rimettere insieme i pezzi di quel progetto criminale, ha ripercorso l’orrore omicida. La stessa Giulia in un messaggio gli aveva confessato, a fronte di un crescendo di messaggi e comportamenti ossessivi, «a volte mi fai paura». Atteggiamenti violenti come quando Filippo, ha raccontato lui stesso, durante un litigio in una gelateria le diede «uno schiaffo sulla coscia» e poi un’altra lite successiva.

Il primo atto

Fino a quel 7 novembre 2023, quattro giorni prima del fatto, quando cominciarono per Turetta «i pensieri brutti e terribili», l’idea di «di farle del male» e «di toglierle la vita». «Ho pensato quindi di rapirla e sequestrarla – ha affermato – se le cose non fossero migliorate tra noi». Il primo atto, premeditato sostiene il Pm Andrea Petroni, fu proprio il 7 novembre in quella lista in cui Filippo scrisse le «cose da fare»: fare cassa usando un bancomat da eliminare, comprare scotch per legare la ragazza, sacchi neri, coltelli, cartine stradali.
Questo mentre in internet cercava luoghi appartati, modalità per rendere non rintracciabile la propria auto.

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Poi la sera dell’11 novembre: l’appuntamento per fare shopping al centro commerciale ‘La Nave de Vero’ di Marghera, l’aggressione a Vigonovo nel parcheggio vicino alla casa di lei, quindi lo spostamento in auto a Fossò. In aula Filippo ricorda che mentre guidava «l’ho colpita ad una coscia», «volevo metterle lo scotch sulla bocca, ma non ci sono riuscito».

L’omicidio

Il delitto lo scrive nel dettaglio però nel memoriale: Giulia riesce a venir fuori dalla Fiat Punto, e tenta la fuga nelle strade della zona industriale di Fossò, lui la insegue e la la spinge a terra, «non ricordo bene» intervalla costantemente il racconto Turetta. «Ero accasciato sopra di lei che era per terra e continuava a gridava forte. In quel momento volevo toglierle la vita. Non ne potevo più di sentirla urlare. Volevo che tutta quella situazione finisse al più presto».

«Ho iniziato a colpirla con il coltello – ha proseguito – avrei voluta darle solo un colpo al collo perché fosse meno ‘doloroso’ e più veloce, ma lei si difendeva con le braccia. Così ho iniziato a colpire più velocemente possibile senza neanche guardare dove stessi colpendo e pensare al male che le stavo causando. Ad un certo punto è come non la avessi sentita più urlare. Non avrei mai voluto colpirla sul viso, la cosa mi ha inorridito». Poi la fuga disperata in auto, l’occultamento del cadavere in un bosco vicino a Barcis.

L’ultimo atto del piano salta, quello del suicidio a cui Turetta però dice di avere pensato. E su questo lo ha incalzato il pm Petroni: «perché non ti sei suicidato?», gli chiede deciso. «Ci ho provato mettendomi un sacchetto in testa ma non ci sono riuscito», replica Turetta incespicando nelle parole, come quasi sempre nelle lunghe ore dell’esame in aula. Piange anche Filippo Turetta, guarda sempre in basso e piange. Evita di guardare Gino Cecchettin che invece lo fissa.

«Non penso al mio futuro. L’unica cosa a cui penso è che sia giusto affrontare questo ed espiare la colpa per quel che ho fatto. Non so perché non ho chiesto scusa, ma penso che sia ridicolo e fuori luogo, vista la grave ingiustizia che ho commesso», dice al suo legale Giovanni Caruso. Si tornerà in aula il 25 e 26 novembre per la discussione. Poi il 3 dicembre la sentenza.

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