Migranti, l’Ue vuole i rimpatri e guarda all’intesa dell’Italia con l’Albania

di Antonella Di Martino

Meloni: mentre l’Europa discute delle nostre iniziative, la sinistra italiana pensa unicamente ad attaccarle

«Il vento sta soffiando a destra», ha detto il leader dell’estrema destra olandese, Geert Wilders, arrivato a Bruxelles per partecipare al primo vertice dei Patrioti europei e coordinarsi sulla posizione da assumere al Consiglio europeo, in particolare sulle migrazioni. Ma questa volta non è stato difficile trovare una linea comune. «Basta, non può entrare chiunque in Europa», ha detto la socialista danese Mette Frederiksen.

«Dobbiamo fornire protezione a coloro che hanno bisogno di protezione. E lo faremo sempre e non lo metteremo in discussione ma non tutti possono venire. Dobbiamo poter scegliere chi entrerà secondo le nostre regole», le ha fatto eco il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, suo collega di partito. Sostanzialmente i Ventisette sono d’accordo sulla necessità di rafforzare le politiche di rimpatrio e tutelare maggiormente i confini esterni e interni. Ma c’è divergenza su come farlo.

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Questa volta l’Italia si presenta al tavolo con una strategia già in corso di collaudo: l’intesa siglata con l’Albania per gestire le richieste di asilo fuori dal territorio nazionale ma sempre sotto giurisdizione italiana e secondo il diritto italiano.

La riunione informale pre-vertice

La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha organizzato con la premier danese e il neo primo ministro olandese, Dick Schoof, una riunione informale pre-vertice con i Paesi interessati a studiare appunto soluzioni innovative per rispondere alle sfide migratorie a livello europeo. Hanno risposto all’appello dieci leader: Austria, Cipro, Grecia, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Ha partecipato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che aveva già scritto una lettera ai Ventisette che ha ottenuto ampio apprezzamento a destra.

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Il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, invece non partecipa mai ad appuntamenti del genere per questione di opportunità. La riunione è stata l’occasione per la premier di presentare l’intesa Italia-Albania, all’indomani dell’arrivo dei primi migranti irregolari nel porto di Shengjin, sottolineandone il ruolo nell’azione di contrasto ai trafficanti di esseri umani e l’effetto di deterrenza. I leader si sono quindi confrontati su eventuali centri di rimpatrio fuori Ue – i Paesi Bassi già pensano all’Uganda mentre la Danimarca ci lavora con il Kosovo – e sulle condizioni per il rientro volontario dei profughi siriani.

«Curioso notare come, mentre quasi tutta l’Europa discute delle nostre iniziative per contenere l’immigrazione irregolare e fermare la tratta di esseri umani, alcune Nazioni considerandole come modelli, la sinistra italiana pensi unicamente ad attaccarle in maniera inconsistente e gratuita. Difendere i confini e fermare il traffico di esseri umani non è solo un nostro dovere, ma una priorità per l’Italia e per tutta l’Europa», ha osservato su X Meloni.

Il Ppe apre

Non sono però mancate le critiche a livello europeo al modello italo-albanese. Per Scholz «è una piccola goccia che non funziona per i grandi numeri, come quelli tedeschi»; per il belga Alexander De Croo «è inefficace e costoso»; per la Spagna si pone una questione morale; per Francia e Grecia sarebbe opportuno impegnarsi più sui rimpatri. In termini di gruppi, il Ppe apre all’iniziativa e la vorrebbe adottare anche per i centri di rimpatrio. Socialisti e Verdi invece la condannano.

Nel suo intervento al vertice la Presidente del Consiglio ha comunque ribadito che «la priorità è prevenire le partenze di migranti irregolari» e ha sottolineato come nel Patto per le migrazioni e l’asilo occorra «rispettare l’equilibrio tra responsabilità e solidarietà». Un messaggio a quei Paesi – vedi Germania, Olanda e Austria – che insistono sull’anticipazione dell’attuazione del Patto nella parte in cui vengono chiesti ai Paesi di primo approdo screening e procedure accelerate per evitare i movimenti secondari, i cosiddetti dublinanti.

I rientri in patria

Un’altra questione che si pone sempre con più forza è la possibilità di organizzare «ritorni volontari, dignitosi e sicuri» dei profughi siriani. In particolare per i 400 mila che attualmente vivono in Libano e che vorrebbero rientrare in patria. Ma l’eventuale strategia potrebbe essere adottata anche per i profughi siriani rimpatriati dall’Europa. «Se lasciano il Libano per la Siria vuol dire che la Siria è un luogo sicuro, quindi dobbiamo potervi rimpatriare le persone. E in futuro dobbiamo poterlo fare anche per l’Afghanistan», ha detto senza giri di parole il cancelliere austriaco, Karl Nehammer. Nel frattempo però la prima preoccupazione europea è che i 400 mila in Libano non vadano verso Cipro e Grecia, e quindi verso l’Europa.

Sulla definizione di Paese sicuro era intervenuta la Corte di giustizia dell’Ue solo la settimana scorsa: «Un Paese è sicuro quando lo è tutto il suo territorio», ha evidenziato. Tuttavia per i legislatori europei la sentenza decadrà con le nuove norme. Il regolamento che entrerà in vigore nel 2026 con il Patto prevede che «la designazione di Paese terzo sicuro può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili».

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