Francesco Procopio: tra il palco e il set. L’arte di un attore napoletano

di Maddalena Villano

L’artista si racconta a ilSud24: «Se fai una cosa con passione, riesci a vivere meglio»

Napoli è da sempre culla di grandi talenti nel mondo dello spettacolo, una città dove il teatro e il cinema, ma non solo, hanno radici profonde e un ruolo centrale nella vita culturale. La città partenopea è la madre di alcuni dei più apprezzati attori, capaci di conquistare sia il pubblico teatrale che cinematografico con una naturalezza unica.

Francesco Procopio, un talento poliedrico

È in questo ricco contesto artistico che si inserisce Francesco Procopio, il quale ha saputo farsi strada con il suo talento poliedrico. Il suo è stato un percorso quasi naturale, spontaneo «sin dall’elementari ero rinomato per essere uno spiritoso in classe, irrequieto , facevo sempre ridere la classe. Poi ci fu un insegnante al liceo che, siccome aveva una compagnia che faceva spettacoli per gli ospizi dei poveri, subito mi mise in questa compagnia e iniziai a recitare» ha raccontato Francesco Procopio in un’intervista a ilSud24.

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«Da lì – ha aggiunto Francesco Procopio – poi a 17 anni sono entrato in un gruppo di tradizioni napoletane dove si facevano feste di piazza e addirittura sono entrato come ballerino. Anche se mi sono laureato in economia la mia vocazione è sempre stata quella. Sembra strano, però il mio grande difetto è la memoria ma ricordo benissimo che davanti a tutti, anche ai genitori, dovevo recitare una poesia di Pantalone, ero in seconda elementare».

«Era un giorno di festa a scuola e siccome scoprirono che c’era anche un altro alunno che aveva preparato la stessa poesia ci portarono in un’aula e ci ascoltarono; mentre io ricordavo a stento la poesia, l’altro la sapeva a mena dito e quindi l’hanno fatta recitare a lui. Rimasi deluso e sofferente anche perché mia sorella, che era più grande di me, fece un altro spettacolo e fu molto applaudita e io invece non riuscì a salire su quel palco. Secondo me da là è scattato qualcosa».

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«Da quel momento in poi è cominciata la mia rivendicazione di questo evento di quel bambino che conosceva meglio di me la poesia e per tutta la vita ho cercato di recitare meglio quella poesia che non riuscì a dire alle elementari».

Un mestiere meraviglioso

Quindi non è stato un male se poi l’ha condotto a questo

«No no assolutamente. Il mio è un mestiere meraviglioso. Mi diverto moltissimo quando sto su un palcoscenico o davanti a una macchina da presa. Poi ci sono tutti i contorni. È comunque una vita difficile con la famiglia, c’è una presenza limitata. Ci sono anche tanti contro però quando poi sei lì sopra ti rendi conto che stai facendo una bella cosa. Io non mi annoio mai nel fare il mio mestiere» sottolinea Francesco Procopio.

Immagino che Francesco Procopio viva molte vite attraverso il suo lavoro

«Assolutamente! Questa è un’altra cosa che mi affascina tantissimo; quella di vivere molte vite. Cioè di entrare sempre in una vita differente, in un personaggio differente. È una cosa meravigliosa poter fare in questa vita qualcosa che, magari, io Francesco non avrei mai fatto, però nelle vesti di quel personaggio lo puoi fare»

E il suo primo ruolo qual è stato?

«Da ragazzino, diciamo non da professionista, fu proprio lo “‘O scarfalietto” (commedia del grande Eduardo Scarpetta, ndr.). Ero il Don Anselmo Tartaglia; quello fu il primo ruolo proprio che ho interpretato. Poi ci sono alcuni personaggi, alcuni ruoli a cui io sono rimasto sentimentalmente legato. Per esempio feci uno spettacolo “Ridicolose avventure di Pulcinella Petito” con Renato Carpentieri e c’era un Felicello a cui io sono rimasto legato. Poi uno spettacolo che feci con Sergio Assisi. Ci sono diversi ruoli a cui io sono rimasto particolarmente legato».

Una marcia in più

Ma il fatto che lei fosse del Sud lo ha penalizzato o avvantaggiato in qualche modo?

«Secondo me ad essere del Sud oggi si è avvantaggiati. Fino a qualche anno fa mi ricordo che si andavano a fare i provini e si leggeva: attori, attrici e napoletani. C’era una cartellina a parte per i napoletani. Questo quindi era da un lato un vantaggio, però anche un pregiudizio perché non saresti mai potuto essere, come dire, un attore e nulla più».

Francesco Procopio si sente si sente più a suo agio quando recita al teatro o nei film?

«Devo dire che sono due cose diverse e simili allo stesso tempo. Sicuramente il teatro è insito in me, nel senso che io ho cominciato questo mestiere su di un palcoscenico. Ho sempre pensato al teatro e ancora oggi se faccio qualcosa al cinema o in televisione è perché penso che poi a teatro possano riconoscermi più persone e quindi poter fare quello che più mi piace. La mia impostazione è rivolta sempre al teatro come invece ci sono attori, artisti, registi che invece hanno sempre pensato al cinema e in termini cinematografici, o di fiction, televisivi».

«Però devo dire, per esempio, ora sono anni che ogni tanto torno a fare “Un posto al sole” e quello mi diverte tantissimo. Oramai – continua Francesco Procopio – mi sento tantissimo a mio agio anche davanti alla macchina da presa e mi piace moltissimo però sicuramente non potrò mai dire che sia quella la cosa che più mi interessa o mi affascina. Quindi principalmente mi sento sempre a mio agio sulle tavole del palcoscenico».

Recitare al teatro richiede più d’impegno?

«Sì, ma è una vita più scomoda perché poi fondamentalmente sei sempre in giro. Torni tardi a casa la sera, ceni tardi. Stai davanti al pubblico dal vivo e non ti è consentito sbagliare. Ci sono tante difficoltà in più».

Un cambio di approccio quindi

«Sì, si suda molto di più. Io caratterialmente preferirei molto più il cinema e la televisione perché a me piace la famiglia, mi piace tornare e non mi piace viaggiare. Tuttavia, artisticamente, io sono un animale da palcoscenico quindi è proprio un altro modus di impostarsi verso quest’arte».

L’interpretazione dei ruoli

C’è qualche personaggio che Francesco Procopio ha interpretato che maggiormente si avvicina al suo modo di essere e alla sua personalità?

«Questa cosa mi capitò quando feci il provino per “L’allieva” per la parte del dottor Anceschi e subito dissi “questo personaggio mi somiglia tantissimo, siamo proprio uguali”. Infatti fui preso. Ci sono dei ruoli in cui ti rivedi. Ma bisogna anche dire che l’attore, secondo me, deve portare il personaggio a se stesso, verso la sua personalità quindi il suo modo di essere. Ci devono somigliare in qualche modo. Tante volte si pensa di dover andare verso il ruolo, ma in realtà bisogna fare in modo che il personaggio venga verso di noi, che è completamente l’operazione inversa. Deve essere il personaggio che deve somigliare a me, perché io possa interpretare bene quel ruolo».

Quando si interpreta una parte non vengono fuori diverse sfumature? Si tende a pensare “chissà quanto della persona c’è all’interno di questo personaggio”, perché poi alla base c’è sempre la propria personalità.

«Anche il comico per quanto possa sembrare appunto un lavoro solo esteriore, in realtà riesce ad arrivare alla pancia dello spettatore nel momento in cui fa comunque questa operazione di scavare in se».

Il comico ha un duro lavoro, far ridere le persone non è una cosa molto semplice

«Aldo Giuffrè – racconta Francesco Procopio – una volta in un incontro rispose “Il comico è naturale. Se ce l’hai dentro non ti viene difficile se ti viene difficile è perché non ce l’hai”. Perché se io dovessi pensare ogni volta che tempo usare per beccare quella risata o che cosa fare per essere più comico sarebbe un lavoro molto difficoltoso e pesante. In realtà deve venire tutto naturalmente, usando una tecnica che poi maturi anche negli anni con il mestiere. Devi essere un comico naturale innanzitutto».

«Abbiamo l’esempio di tanti colleghi, grandi comici, che addirittura non se ne rendono conto. Pensano di essere seri invece sono ancora più comici. Sto parlando anche di me stesso. Ho saputo di colleghi che si inalberavano perché volevano dire una frase in modo serio e il pubblico ha riso».

Il consiglio di Francesco Procopio ai giovani

Lei consiglia ai giovani di intraprendere questa strada?

«Io consiglio ai giovani quello che consiglio ai miei figli di 17-14 anni, un maschio e una femmina: seguire le proprie passioni. Tutti ne abbiamo una, non possiamo non averla. Poi magari viene fuori col tempo e consiglio a tutti di cercarla. Avere una passione in questo mondo di distrazione credo sia la salvezza. Se fai una cosa con passione, riesci a vivere meglio; è importante e necessario che tu la faccia, sia come mestiere che come hobby. Se la scopri da giovane, puoi anche trasformarla nel tuo lavoro»

Setaro

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