Fabbrocino, un clan e due capi: la gestione mafiosa di Palma Campania

di Enzo Amato

Il controllo del territorio con le estorsioni: «Se tu non ti metti a posto col sistema, non cominci a lavorare»

Un clan e due capi, Biagio Bifulco e Mario Fabbrocino, che si alternavano alla guida. Il 68enne, cugino omonimo del boss fondatore dell’organizzazione, grazie alla detenzione di Biagio Bifulco, arrivò al vertice del gruppo, coordinando le attività del sodalizio, fornendo direttive agli affiliati, con i quali delineava le strategie criminali, gestendo i rapporti con altre organizzazioni e risolvendo eventuali controversie. Sedeva a capotavola durante le riunioni del gruppo e si occupava si occupava del mantenimento degli affiliati detenuti, oltre a gestire la cassa del clan.

Sono le intercettazioni che hanno fiaccato il gruppo criminale di Palma Campania. Le cimici piazzate nell’ufficio che Fabbrocino aveva allestito all’interno del cimitero, delineano la caratura criminale del boss. «Sei camorrista tu?! Ma tu hai capito che devi posare?! Tu hai capito che, quando fai un’operazione, te la devo chiamare io?». Un modo per far capire chi comanda.

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Dalle intercettazioni emerge un controllo del territorio capillare e ordini impartiti per la gestione delle estorsioni. Una sorta di «corsi su come imporre il pizzo». Il boss impartiva precise disposizioni a uno dei luogotenenti su cosa dovesse fare e dire al costruttore dopo aver preso i dovuti contatti: «Deve mandare l’imbasciata a questo… al costruttore…Deve dire “tu il lavoro non lo cominci perché non ti sei messo a posto con nessuno… se tu non ti metti a posto col sistema qua, tu non cominci a lavorare!”. Perché quello è un imprenditore, i delinquenti siamo noi, non è lui».

Setaro

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