Distributori automatici per «riparare». Ci vorrebbe un caffè-bistrot
Quattrocentomila visitatori nel 2023, praticamente il doppio rispetto al 2016, circa trecento addetti ai lavori e migliaia di frequentatori. Sono questi i numeri del Palazzo Reale di Napoli oggi. Numeri già lusinghieri destinati a crescere grazie all’impegno profuso in questi ultimi anni dall’attuale dirigenza, guidata da Mario Epifani, e alla costante attenzione del Ministero della Cultura fino alle recentissime dimissioni di Gennaro Sangiuliano.
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L’Appartamento di Etichetta, il Museo Caruso, il Giardino Pensile e la recente Galleria del Tempo sono solo alcuni dei suggestivi itinerari proposti dalla storica residenza borbonica. Oltre alla recente presa in carico del raffinato museo di Villa Pignatelli, sono stati inaugurati il Torrione Belvedere, con annesso affaccio mozzafiato sul golfo partenopeo, e il Museo della Fabbrica, che offre una visione retrospettiva sulla realizzazione dell’importante monumento dal 1600 fino agli anni Trenta del secolo scorso, una sorta di B.I.M. (Building Information Modelling) ante litteram.
Un’offerta di alto profilo che, come spesso accade qui, rischia di passare in secondo piano per le solite banalità. Come dice un antico proverbio napoletano: «pe’ n’aceno ‘e sale se perde ‘a menesta». Ma cos’ha di manchevole un quadro apparentemente così virtuoso? In questo caso il dito va puntato contro i servizi, fortunatamente non tutti. Accoglienza, sorveglianza, manutenzione e decoro, dopo alcuni interventi correttivi, sembrano aver iniziato a funzionare; tangibile è invece la totale assenza di un servizio di ristoro degno di questo nome.
Lo storico Palazzo che, ricordiamolo, oltre a essere un importante polo museale, ospita diversi enti di rilievo tra cui la Soprintendenza dei Beni Archeologici e Paesaggistici della Città Metropolitana di Napoli, da anni soffre l’assenza di questo servizio, a differenza di poli come il MANN o il Teatro San Carlo, ma non è sempre stato così.
Il colpo di spugna e il fallimento
Oltre vent’anni fa, quando l’esecutivo era guidato da Zampino e Sardella, all’interno della struttura esisteva un bistrot molto frequentato. A gestirlo, da due generazioni, era la famiglia Bruno, attuale proprietaria della rinomata Trattoria San Ferdinando, aperta proprio lì di fronte, in via Nardones, ma una cieca burocrazia stabilì l’illegittimità di quella lunga gestione. Senza riconoscere le attenuanti per chi, per generazioni, ha dato il proprio impegno, si volle «mettere ordine»; e così, tra decreti, avvisi pubblici e manifestazioni d’interesse, la gestione passò di mano.
Arrivarono i cosiddetti operatori economici, affaristi di nuova generazione; con un colpo di spugna si cancellò il passato per fare spazio al nuovo. Cambiarono gli arredi e le attrezzature, arrivarono nuove tecnologie, ma purtroppo i risultati non furono quelli attesi. La nuova gestione si dimostrò inappropriata e in breve tempo il servizio affogò tra debiti e cattiva gestione. I locali destinati alla nuova brasserie erano posti sulla spianata, ma in breve tempo si trasformarono in depositi e furono abbandonati. Per anni l’oblio. Fino a quando l’esigenza di garantire un minimo di ristoro alle migliaia di frequentatori impose alla dirigenza di intervenire, come al solito, con urgenza; ed ecco «le coup de théâtre» in salsa napoletana, d’altronde siamo di fronte al San Carlo.
Lungo i vincolatissimi cortili della regia fabbrica, tra le sculture marmoree e i bassorilievi in piperno, ecco comparire, – rullo di tamburi -, i distributori automatici! Acqua, caffè e snack sono finalmente alla portata di tutti, o quasi! Sì, perché i prezzi non sono affatto economici: una bottiglietta d’acqua da 50 cl e un caffè espresso costano praticamente come al bar. Non importa che a servirli sia un braccio meccanico e che il caffè sia in un bicchiere di plastica, tutto alla faccia della sostenibilità.
La proposta
Invece bisognerebbe realizzare una vera area ristoro all’interno della struttura: un caffè letterario o un bistrot. L’idea troverebbe fondamento nei risultati incoraggianti della rassegna di eventi che, da quattro anni a questa parte, si organizza all’interno della struttura. Sono infatti migliaia le persone, giovani e meno giovani, che anche quest’anno hanno frequentato i giardini reali per trascorrere momenti di convivialità tra aperitivi e concerti all’aperto.
L’idea di aprire stabilmente questi spazi a una fruizione esterna, che possa coinvolgere anche i non turisti, sembra piacere ai potenziali frequentatori. Voci da confermare affermano che l’idea abbia già una certa concretezza; secondo alcuni, i locali da destinare al nuovo progetto sarebbero i terranei a due livelli posti di fronte alla vecchia biglietteria, proprio a pochi metri dal varco principale di piazza Plebiscito. Da risolvere sarebbero invece le questioni riguardanti la sicurezza e i costi extra necessari per mantenere le attività durante il prolungamento degli orari di esercizio. Concretezza o pura fantasia? Questo, come diceva Battisti, lo scopriremo solo vivendo. Intanto, per il caffè, ci vediamo in piazza.
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