Teverola e Carinaro erano sotto il controllo di Aldo Picca e Nicola Di Martino: il clan più forte grazie al muro di omertà
Nelle pagine dell’ordinanza che ha colpito il clan Picca-Di Martino viene contestata un’estorsione sulla realizzazione di alcuni appartamenti a Teverola. Al cantiere arriva un emissario e riferisce alle persone presenti di mettersi «d’accordo con i compagni». Poi una digressione sulla modalità per mettersi in regola: «Viene a Cesa o a Gricignano, o viene direttamente a Teverola, cercate di rispettarci pure a noi, lo dovreste sapere come funziona nei paesi».
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Una chiacchierata che fa emergere un costume, un retaggio che appare quasi ineluttabile: «Nei paesi funziona così». Una territorialità criminale che emerge anche in un’altra circostanza. Ovvero, quando una persona prende in affitto un terreno nei pressi dell’area mercatale di Teverola. Un terreno di proprietà della Curia di Aversa: «Questo è della Chiesa. Tu sei di Carinaro e vieni ad affittare i terreni a Teverola, fino a ora l’abbiamo fatta passare. La terra serve a me». Parole come sassi. Parole violente come solo la camorra sa usarle.
Teverola e Carinaro erano sotto il controllo di Aldo Picca e Nicola Di Martino che si avvicendavano al vertice nei periodi in cui erano in libertà. Ma non è solo sulla prevaricazione che fondavano la forza del cartello, bensì su una conseguenza diretta: la condizione di assoggettamento ed omertà che ne deriva.
La gestione monopolistica
Il controllo delle attività economiche, anche attraverso la gestione monopolistica di interi settori imprenditoriali e commerciali nelle proprie aree di competenza, come le onoranze funebri, l’imposizione delle apparecchiature elettroniche da intrattenimento, le cosiddette macchinette videopoker, e l’imposizione degli istituti di vigilanza privata di proprio riferimento. Non solo. C’era il «reinvestimento speculativo, anche attraverso intestazioni fittizie, in attività imprenditoriali, immobiliari, finanziarie e commerciali degli ingenti capitali derivanti dalle attività illecite, esercitate in maniera sistematica».
Le estorsioni alle imprese e ai titolari di attività commerciali, il traffico di stupefacenti, la compravendita di armi. Era così che il clan affermava il «controllo egemonico sul territorio», anche attraverso la «contrapposizione armata con organizzazioni criminose divenute rivali nel tempo e la repressione violenta dei contrasti interni». In particolare, gli indagati, oltre a partecipare alle riunioni e a condividere direttive e finalità, avevano una struttura definita.