«Dite a Casale che non parlo con loro, non c’è nessuno che può parlare con me»

di Enzo Amato

Il boss Aldo Picca dopo la scarcerazione: mi mandano i bambini, ma chi sono questi?

Una lunga detenzione, ma il carcere non è stato rieducativo. Non lo è quasi mai. Aldo Picca ha quasi settant’anni e nessuna intenzione di cedere spazio. Lo sottolinea in un’intercettazione indicativa in cui è lo stesso Picca a parlare con alcuni imprenditori: «Un cristiano esce dopo venti anni e non vi siete degnati neanche. I più scemi, i più scemi, dissi, hanno preso una bottiglia di liquore e l’hanno portata, voi non vi siete degnati neanche di fare una bottiglia di liquore».

Il liquore a cui si fa riferimento è, di fatto, il rispetto. E significa soldi. Con gli imprenditori viene chiarito che avrebbero dovuto regolarizzare la loro posizione entro il mese in corso o al massimo entro quello successivo, poiché non sapeva se già avessero provveduto a versare qualche quota a Casal di Principe. Già, Casale.

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Picca, nato con i casalesi, ribadisce, inoltre, che non vuole che gli vengano inviate comunicazioni da soggetti che non hanno alcuna caratura criminale e pertanto non all’altezza di interloquire con lui: «Attualmente, ho detto, non ci sta nessuno in grado di parlare con me; perciò, non voglio avere a che fare con nessuno». E ancora: «Riferite a Casale che non voglio avere a che fare più con nessuno. Perché non c’è nessuno con cui possiamo parlare. Che mi mandano i bambini qua, ma chi sono questi ho detto io?».

Gli inquirenti: clan camaleontico

Un boss vecchio stampo, ma il clan ha comunque cambiato pelle, spiegano gli inquirenti. L’attività di indagine ha consentito di accertare come il gruppo Picca-Di Martino, abbia «abbandonato una dimensione esclusivamente cruenta, dettata dall‘esperienza maturata nei lunghi anni di detenzione, per assumere le vesti di un’organizzazione camorristica in grado di inquinare il tessuto economico e sociale» delle cittadine di Teverola e Carinaro e più in generale nell’agro aversano, perseguendo la strada di una «mafia imprenditoriale».

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Un gruppo tanto attivo nei settori leciti che nell’economia nera. Armi e spaccio su tutti. Un clan definito «camaleontico», capace «di infiltrarsi nel tessuto sociale ed economico, riciclando i proventi dell’attività di commercio dello stupefacente, i proventi delle altre attività illecite, realizzate mediante l’intimidazione violenta e di natura estorsiva, finalizzate a garantire il controllo del territorio».

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