Strage familiare nel Milanese, il 17enne: «Ero estraneo al mondo»

Il ragazzo ha confessato di avere colpito per primo il fratellino con un grosso coltello da cucina

‘Riposate in pace’. Nessuno raccoglierà le tre rose lasciate davanti al cancello dove viveva una famiglia che non c’è più. Passano le auto, si sporgono dai finestrini per affacciarsi a guardare com’è la «casa del Mulino Bianco» dopo che si è sgretolata. Ragazzi e adulti la osservano da lontano, dalle panchine del parco giochi, riparati all’ombra di un albero. Tutti a distanza di un dolore troppo esorbitante.

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Il ragazzo che l’ha cancellata, il padre Fabio Chiaroni, la madre Daniela Albano e il fratellino, ha raccontato di averlo fatto perché si sentiva «estraneo al mondo». «Ha espresso un malessere suo, non legato alla famiglia» dice la pm dei minori Sabrina Ditaranto che vede in continuazione ragazzi assediati dalla solitudine ma quella scena, «molto pesante», la definisce un carabiniere, i corpi uno accanto all’altro nella camera da letto divorati dalle ferite, non la poteva immaginare nemmeno chi tutti i giorni tasta questo disagio.

«C’è più solitudine tra i giovani. Manifestano un malessere importante soprattutto per gli aspetti che riguardano la socialità. Questo lo dico in linea generale. So che tutti vi chiedete il perché di quello che è successo, è la grande domanda ma dobbiamo accontentarci di scavare. Tecnicamente in senso giuridico il movente non c’è, da un punto di vista sociologico le indagini sono aperte».

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Per adesso gli inquirenti e i parenti sentiti a verbale riferiscono che il ragazzo andava bene a scuola, «la sua era una famiglia più che normale, felice», aveva solo un debito in matematica che avrebbe ‘saldato’ in questi giorni, giocava in una squadra di pallavolo, non aveva dato «segnali di allarme». Anche se nell’interrogatorio ha ammesso che «ci pensava da qualche giorno», a uccidere, e per questo gli viene contestata l’aggravante della premeditazione.

Non postava sui social, non esibiva i suoi stati d’animo

«C’è da dire che è sempre stato molto riservato per cui un eventuale atteggiamento più pensieroso poteva passare inosservato» riflette il magistrato che attribuisce un possibile significato alla festa per il compleanno del papà poche ore prima perché «i festeggiamenti sono sempre un momento critico per chi sta soffrendo».

Ha confessato di avere colpito per primo con un grosso coltello da cucina il fratello che dormiva nella sua stessa stanza le cui urla hanno richiamato la madre. Appena entrata nella cameretta, la donna si è accasciata per i fendenti e infine è arrivato il papà, ucciso mentre stava soccorrendo il bambino di dodici anni. Poi ha chiamato il 112 alle due di notte. I carabinieri lo hanno trovato seduto su un muretto, in boxer, l’arma ancora tra le mani, «all’apparenza sereno e lucido». Solo durante la confessione in caserma, assistito dai legali Giorgio Conti e Chiara Roveda, inizia a rendersi conto di quello che ha fatto. Piange molto, appare «fragilissimo».

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Si stupisce: «Non pensavo che avrebbero sofferto così tanto». «Ha capito che è successo qualcosa di irreversibile ed è pronto ad affrontare il percorso penoso che lo aspetta» è la percezione di Ditaranto. Il ragazzo non prendeva droghe nè psicofarmaci, non era in cura per problemi psicologici. Da un primo esame del telefono, delle chat, dei giochi elettronici non è emerso nulla di significativo.

Ha già cominciato i colloqui con gli educatori al ‘Beccaria’, più avanti, dopo la convalida, saranno svolti anche gli accertamenti su eventuali disturbi psichiatrici. Domenica sera dalla caserma sono usciti su un furgoncino grigio la nonna e lo zio, i volti attoniti. «La famiglia fa quadrato attorno a lui, anche questo dimostra che è una famiglia sana» conferma il pubblico ministero. Il ragazzo «ascoltava canzoni tristi». ‘The long and winding road’ dei Beatles, la preferita. «Molte volte sono rimasto solo/e molte volte ho pianto/Comunque non saprai mai le molte vie che ho provato».

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