L’Italia quarta fra le potenze economiche del G7 grazie al Sud

Il Paese cresce e Giorgetti non può fra quadrare i conti della manovra 2025 senza Pnrr, Zes unica e Mezzogiorno

Il vertice di maggioranza Meloni, Tajani, Salvini e Lupi, riparte da dove si era fermato prima delle vacanze. Conferma il «patto di coalizione» e indica Fitto come commissario europeo. Ora, quindi, si fa sul serio, tirando le somme 2024, per predisporre quelle 2025 e quella legge di bilancio che la solita opposizione trinariciuta, specialista in «vuoti a perdere» e fake news, (vedi la questione dell’assegno unico che sarebbe stato cancellato ed ora, alla vigilia del G7 sull’Agricoltura, con l’attacco al ministro Lollobrigida, accusato di non avere dato i fondi previsti per peste suina, alluvioni, siccità ed eventi catastrofali) ha preso a contestare ancora prima che s’iniziasse a parlarne.

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Possibile che losinistri non sappiano né governare, né fare opposizione senza ricorrere all’aiuto delle menzogne in servizio permanente effettivo? Evidentemente no! Ma saranno gli elettori a punirli. Personalmente ritengo sia meglio tornare a discutere di cose serie e soprattutto vere. Anche perché quella che deve mettere a punto il governo per il 2025 è una manovra, obiettivamente non facile. Tanto più, alla luce dei dossier che l’esecutivo Meloni troverà sul tavolo e dovrà risolvere per la quadratura del bilancio.

A cominciare dalle pensioni – materia per cui i partiti hanno già alzato le proprie bandierine: «quota 41» e aumento delle «minime»; rimborsi irpef, fisco (Flat tax al 15% anche per autonomi e partite Iva fino a 100mila euro di reddito) Ape Sociale, opzione donna, misure per le famiglie, riduzione Ires alle aziende, per investimenti e nuove assunzioni.

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Il nodo risorse

Sicché anche per confermare solo le misure messe in campo per quest’anno, tra cui il taglio del cuneo fiscale, occorrerebbero almeno una ventina di miliardi, che potrebbero diventare una trentina per provvedere alla messa a punto anche di quelle di «nuovo conio» in vista del futuro. Da dove arriveranno? In parte da tagli alla spesa dei ministeri; privatizzazioni (Giorgetti ha un piano di dismissioni per 20 miliardi annui, ben visto da Tajani, ma non da FdI, e parte della Lega) e (perché no?) dal prosciugamento dell’oceano di sconti e detrazioni fiscali che costano allo Stato un centinaio di miliardi l’anno. E neanche questo sarà semplice.

Ci sarà da vedersela con lobbies e gruppi di potere che a questi privilegi non intendono rinunciare e faranno di tutto per conservarli. E non dimentichiamo il via libera al nuovo patto di stabilità Europeo: taglio di spese di quasi 10 miliardi (0,5%) annui. Le difficoltà, insomma, per far quadrare i conti, obiettivamente, non sono poche.

Anche non si può non tenere in considerazione che è utile e giusto che le leggi finanziarie tengano conto anche delle bandierine partitiche, purché, però, attengano a esigenze reali dei cittadini, e non siano regalie, liste della spesa o specchietti per le allodole, per conquistare simpatie, consenso e voti, ma potenzialità effettive che da un lato puntino a migliorare la quotidianità dei cittadini e dall’altro ad aiutare il Paese a crescere.

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Non, cioè, come ai tempi della prima repubblica in cui le bandierine dei partiti, garrivano più degli interessi delle comunità e le cui conseguenze paghiamo ancora oggi con il debito pubblico record che a giugno era già arrivato a 2.949 miliardi ed oggi è ben al di là dei 3.000, purtroppo, quasi il 140% del pil.

Attenzione, però, come diceva Flaiano «la situazione è grave, ma non è seria» o meglio lo è, ma solo per chi fa dell’Italia una narrazione strumentale a farla apparire un Paese allo sbando e prossimo al fallimento per poter dire male del governo Meloni.

La crescita economica

Cosa assolutamente non vera, visto che, nel secondo trimestre 2024: con un +4,7% ha registrato, il record di crescita del Pil fra i Paesi del G7 e con lo 0,8 quello dell’inflazione più bassa; con 316 miliardi (+5%) da gennaio a giugno scorso, ha superato il Giappone e conquistato il quarto posto fra i Paesi esportatori del G7, stesso discorso nel turismo cresciuto del 6,1% rispetto a prima della pandemia; è poi, è decresciuto il tasso di disoccupazione (-7%) e cresciuto quello dell’occupazione +0,6% per 148mila unità; e infine, è il Paese che ha visto crescere di meno il proprio rapporto debito pubblico/pil (+3,1%). E con questi numeri ha conquistato il quarto posto fra le grandi potenze economiche mondiali.

La crescita del Sud

Inoltre, ha già in pancia le potenzialità per continuare a crescere senza dover mettere in conto un ulteriore sfondamento del debito pubblico ovvero: Sud, Zes unica e Pnrr. Il Primo ha già contribuito in maniera determinante alla crescita del Paese, in alcuni comparti: il Pil cresciuto del +3,4 rispetto al 2019, Export +68%; turismo +2,8%; portualità che serve il 47% del trasporto via mare italiano, calo del 4% del tasso disoccupazionale rispetto al 2019; e il Pnrr che con una disponibilità di 165 miliardi per gli investimenti infrastrutturali dal 2021 al 2030 ha già prodotto 500mila nuove occupazioni e, almeno altrettante, potrà produrne, se ci si deciderà ad accelerare, grazie all’autorizzazione unica prevista dalla Zes, l’apertura dei cantieri per la realizzazione delle opere previste dal piano.

A cominciare da quelle ferroviarie per migliorare i collegamenti e far crescere il turismo, di conseguenza, l’occupazione, le entrate tributarie e il Pil. Il che significa avere risorse in cassa da poter investire, senza pesare sul debito pubblico. A conferma che se il Sud cresce, l’Italia va. E «a buon intenditor poche parole».

Setaro

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