Sharon Verzeni: gli inquirenti a caccia di tracce genetiche del killer

Inviati al Ris gli abiti, i coltelli e alcuni campioni

Sul corpo o sui vestiti di Sharon Verzeni è rimasto il Dna del suo assassino: questo sperano gli inquirenti che indagano sull’omicidio della donna di 33 anni, uccisa con quattro profonde coltellate mentre camminava non distante da casa sua, la notte tra lunedì e martedì di settimana scorsa, poco prima dell’1, a Terno d’Isola, dove abitava da tre anni con il compagno e dove oggi una tappa della processione di San Donato le viene dedicata.

Sharon indossava una maglietta e i pantaloni di una tuta, abiti che sono stati inviati, dopo l’autopsia eseguita all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ai carabinieri del Ris di Parma perché venga possibilmente individuata una traccia di materiale genetico differente da quello della vittima.

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La ricostruzione

Da quanto ricostruito dai carabinieri di Bergamo e Zogno, coordinati dal sostituto procuratore Emanuele Marchisio, sembra che la trentatreenne sia stata colta di sorpresa, alle spalle, dal suo assassino, e che non abbia avuto neppure il tempo di difendersi. Sempre durante l’autopsia non sono infatti emersi segni di difesa e tantomeno di una colluttazione, se non su un braccio, dove sono state trovate tracce di ecchimosi, compatibili però potenzialmente anche con l’attività dei soccorritori.

Quando Sharon è stata infatti raggiunta dal personale del 118, in via Castegnate dopo che lei stessa aveva chiamato il 112 raccontando di essere stata accoltellata (senza dire da chi), la donna era ancora viva. Le sue condizioni si sono aggravate all’arrivo in ospedale a Bergamo, a causa di un’emorragia interna causata dalle coltellate, tre delle quali mortali.

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Al Ris di Parma è stato inviato anche il materiale rinvenuto sotto le unghie della vittima, nell’ipotesi che Sharon sia comunque riuscita magari a graffiare il suo assassino, e pure campioni prelevati nel punto in cui era evidente l’ecchimosi del braccio. Sempre il Ris sta analizzando alcuni coltelli inviati dai colleghi di Bergamo e ritrovati nella zona attorno al delitto. Da qualche giorno nelle indagini sono stati anche coinvolti i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, il Ros, in particolare del reparto indagini tecniche e del reparto crimini violenti.

I possibili testimoni

I militari si stanno occupando di analizzare le immagini delle telecamere, pubbliche e private, acquisite dai colleghi dell’Arma territoriale di Bergamo e Zogno, per cercare di trovare qualche elemento utile: nelle immagini è emerso che circa una decina di persone si sarebbe aggirata – a piedi, in bici, in auto – nella zona attorno a via Castegnate più o meno quando Sharon Verzeni veniva ammazzata così brutalmente in mezzo alla strada.

Alcuni di loro sono già stati rintracciati e sentiti: non necessariamente si tratta di persone che hanno incrociato direttamente la trentatreenne, ma che potrebbero aver visto qualcosa o qualcuno di sospetto e dunque utile per le indagini. E c’è chi ha riferito di aver sentito un’auto frenare. La violenza dell’omicidio farebbe pensare a un accanimento mirato alla vittima, ma dalla vita privata di Sharon non sarebbero emerse ombre, ma non è scartata l’ipotesi che sia stato uno sconosciuto a colpirla.

Negli ultimi giorni sono stati controllati alcuni garage dove avevano vissuto alcuni sbandati: l’ultimo a Capriate San Gervasio, dove avrebbe abitato un marocchino di 44 anni, pregiudicato e ora irreperibile, il cui viso e la cui scheda segnaletica sono circolati in diverse chat di Whatsapp in un messaggio che lo collegavano con il delitto Verzeni. Dettaglio, quest’ultimo, non confermato dagli inquirenti, che hanno tuttavia approfondito la sua posizione e per l’appunto perquisito il garage che usava come «abitazione».

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