E insieme all’ex Psi Formica contro il governo evocano un «golpe» stile Napolitano-Monti per far cadere la Meloni
E dire che c’è ancora chi li rimpiange. Rino Formica, Carlo De Benedetti e Romano Prodi. Quelli che li hanno visti sulle tolde di comando, della nostra economia sono stati anni di sprechi costosi ed errori colossali. Eppure, dimentichi delle superficialità, di cui sono stati protagonisti, continuano a offrire lezioncine gratuite a mezzo stampa, che nessuno gli chiede, ma che loro offrono come fossero spiccioli di saggezza, mentre in realtà, sono solo spruzzate di fango. E questo, con un attivismo che – da quando è arrivato il governo Meloni, – è cresciuto ininterrottamente e senza che nessuno dei tre abbia mai ammesso i propri errori.
Qualcuno ha mai sentito Prodi, fare «mea culpa» della responsabilità di aver ridotto l’Iri – ai tempi della sua presidenza negli anni ‘80 – a idrovora succhiasoldi? Tra l’‘80 e l’‘85, infatti, il Tesoro ha conferito al capitale dell’Iri ben 33 mila miliardi di lire, con una media di 5mila e 500miliardi all’anno. E quelli sono stati gli anni in cui il debito italiano si è impennato. Certo, tra l’‘86 e l’‘89 i conferimenti si fermarono ad «appena» 6 mila e 600 miliardi, ma l’Iri fu autorizzata a contrarre debiti con rate di ammortamento per 5.840 miliardi di lire all’anno a carico del Tesoro: conferimenti truccati da operazioni di mercato. E comunque neanche questo bastò a salvarla.
Il capitale di rischio dell’Istituto, eroso dalle perdite (il risultato corrente prima delle imposte era sempre sotto zero), scese a 12 mila miliardi nell’‘86 e a 9 mila miliardi nell’ ‘89. E l’Iri fu costretta via via a dismettere tutte le partecipazioni nelle aziende a cominciare da quelle insediatesi al Sud, grazie ai fondi dell’intervento straordinario. E fu l’inizio della deindustrializzazione dell’Italia del tacco. Insomma, dopo essersi abbuffati dei soldi del Sud e averlo distrutto, grazie alla falsa «unità d’Italia» ora contestano l’autonomia differenziata, perché a loro dire la perché spaccherebbe in due. La coerenza dei «no»-isti dell’Autonomia.
De Benedetti e il caso Olivetti
Né risulta l’abbia fatto De Benedetti per aver primo ridotto l’Olivetti in brache di tela e averla ceduta, poi, alla Tim per salvarla.
E, guarda caso, anche questo salvataggio cominciò con un colpo inferto al Sud e alla Campania – dov’era localizzata una delle più significative strutture dell’azienda d’Ivrea – o per il crack della banca Ambrosiano e per problemi lasciati alla Fiat dopo appena 100 giorni da amministratore delegato oppure per i sussidi green Cp6 ricevuti, nonostante le sue aziende operino nel settore dei combustibili fossili o per i generosi finanziamenti ricevuti dalle grandi banche italiane con i quali per oltre dieci anni ha fatto il bello e il cattivo tempo con i quotidiani «la Repubblica», «La Stampa» e la miriade di quotidiani locali che la sua galassia editoriale Gedi controllava?
Per non parlare del crack Sorgenia dell’era Cir, tenuta in vita con aiuti pubblici e sostegni Mps, ma soprattutto dalle tasche dei contribuenti. Eppure, le uniche affermazioni dell’ingegnere e del suo nuovo quotidiano, «Il Domani» (che sa tanto di passato) da 17 mesi a questa parte: sono solo accuse e offese d’incapacità nei confronti del governo Meloni.
Le voragini dell’Inps
Lo stessi dicasi per l’ex Psi Formica che da ministro delle Finanze, mise insieme previdenza e assistenza, accorpando alla gestione Inps, tutte le forme di assistenza (disoccupazione, cassa integrazione, sanità, ecc.) procurando, così, nei bilanci dell’Ente, fino ad allora in buona salute, enormi voragini rovinando il futuro di 5 o 6 generazioni di giovani costretti ad accontentarsi di stipendi prima e pensioni da fame, poi.
E ora, tutti e tre, accompagnati da sinistra e sinistrati vari hanno preso a sparare ad alzo zero contro il centrodestra, Meloni e il governo da lei guidato che «va sgomberato». L’opposizione non ha i numeri per farlo? No, problem! Un’alternativa, c’è, parola di Formica un «cambiamento democratico», chiamando a raccolta la stampa, quella che, «indipendente dalla verità», è adusa ai giochetti di palazzo, magari tirando per la giacchetta il «Capo dello Stato» che, però, non ci sta e con l’aiuto dei «sinistri» d’Europa, tentare un nuovo golpe stile Napolitano-Monti. E ci stanno provando, ma inutilmente.
In Italia non esiste allarme sociale e gli italiani se ne rendono conto. Tant’è che l’ultima media ponderata realizzata tre giorni fa dei sondaggi di Swg, Tecnè e Youtrend dà il cds al 47%, con FdI, al 29,5% con un + 0,5% rispetto alle europee; il cs al 37,5 con il Pd fermo al 22.5% – 0.5 rispetto a un mese fa; il M5s a 10,5% +0,3.
Le cosi tanto, strumentalmente, contestate riforme pseudo «illiberali» del Governo Meloni, quindi, hanno prodotto: la crescita dell’occupazione che ha consentito un aumento delle entrate di ben 24,4 miliardi, 5 in più del previsto, sventando cosi, anche il rischio di una «correttiva». Ma l’opposizione da questo orecchio non ci sente.