Paolo Di Lauro nel gruppo di killer dei «Giustizieri Campani» creato da La Monica

Il pentito Giuliano: era una batteria di tipo militare nata per eliminare i fedelissimi di Raffaele Cutolo. Frattini «Bambulella» fu ucciso e smembrato da loro

Di Paolo Di Lauro, il superboss di Secondigliano, tanto si è detto e scritto. Tuttavia, una delle pagine meno note della sua carriera criminale, è quella riguardante il suo coinvolgimento nella guerra, esplosa nei primi anni ‘80, tra le famiglie camorristiche di Napoli e provincia e l’organizzazione criminale fondata da Raffaele Cutolo, la famigerata Nuova Camorra Organizzata. Una guerra che fece registrare centinaia di morti in entrambi gli schieramenti e che gettò, una volta conclusa, le base di quella che sarebbe diventata la camorra contemporanea. All’epoca di Paolo Di Lauro si sapeva poco o nulla.

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Chi comandava a Secondigliano era, infatti, il boss Aniello La Monica, uno dei tanti che ha deciso di opporsi alle ambizioni di «’O professore» e dei suoi uomini. La Monica, come riferito anche da numerosi collaboratori di giustizia, tra i suoi ‘fedelissimi’ aveva personaggi del calibro di Domenico Silvestri, noto con il soprannome di ‘Mimì ‘a svergognata’ e anche un giovanissimo Paolo Di Lauro.

I giustizieri Campani

Su questo punto, ad esempio, Guglielmo Giuliano, che, insieme ai fratelli, ha gestito per anni gli affari illeciti nella zona di Forcella ha raccontato: «Io conosco Di Lauro Paolo dal 1979. Abbiamo fatto riunioni quando lui era ancora un ragazzo di Aniello La Monica, che poi lui stesso ha ucciso, per quanto ho saputo nell’ambito del mio gruppo. Il gruppo di La Monica… aveva come sigla ‘I giustizieri Campani’, con la quale rivendicavano sui giornali gli omicidi commessi».

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Il gruppo «operava nella zona di Secondigliano, detta ‘mmiez all’Arco’. Aggiungo – specifica Giuliano – che sono stato anche detenuto nello stesso padiglione del carcere di Poggioreale insieme a Di Lauro Paolo; lui stava al terzo piano ed io al secondo, e ricordo che la sua stanza era la numero 61; si trattava, se non mi sbaglio, del 1980-1981, quando io ero detenuto per la strage di Porta Capuana, dalla quale fui assolto dopo una detenzione di un anno e quattro mesi».

«Aggiungo ancora che, nel 1982, Di Lauro Paolo fu arrestato durante un summit a casa di mio zio Salvatore Giuliano a Forcella; durante questa operazione furono arrestate una trentina di persone di vari gruppi. Ricordo Ciro Mariano, alcuni di Castellammare del clan D’Alessandro, Antonio Capuano del clan Giuliano. Di Lauro, notoriamente, non faceva andare nessuno a casa sua, tanto che diceva di non avere nessuna preoccupazione dei pentiti e ciò in quanto nessuno avrebbe potuto raccontare di essere stato da lui».

Secondo il collaboratore, quindi, Di Lauro, oltre a essere un sodale di La Monica avrebbe fatto parte anche della sanguinaria banda di assassini nota come i «Giustizieri Campani» e responsabile, secondo le cronache dell’epoca, dell’eliminazione di numerosi esponenti dell’organizzazione cutoliana.

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L’omicidio di Giacomo Frattini

Tra questi ci sarebbe anche Giacomo Frattini, il cui cadavere orrendamente mutilato fu trovato all’interno di un’auto. La vittima, nota con il soprannome di ‘Bambulella’, in passato era stata legata ai cutoliani ma quando la si rese conto che la guerra contro la Nuova Famiglia era perduta, cercò di avvicinarsi ai rivali. Un tentativo che, come spiegato dagli inquirenti, gli si ritorse contro perché Frattini, già da tempo, era sulla «lista nera» dei nemici di «‘O professore» che lo ritenevano direttamente coinvolto nella strage del carcere di Poggioreale.

Con la scusa di un incontro chiarificatore, «Bambulella» fu attirato in trappola e sequestrato in attesa che i boss della Nuova Famiglia decidessero della sua sorte. Alla fine, per come ricostruito anche da numerosi collaboratori, prevalse la linea di Luigi Giuliano, che voleva che la morte di «Bambullella» fosse un monito per i cutoliani ancora a piede libero. Frattini fu portato all’interno di un locale abbandonato e lì, alla presenza di numerosi componenti dei «Giustizieri Campani», tra cui – secondo i pentiti – anche Di Lauro, fu ucciso. Il suo corpo, quindi, fu smembrato e i resti abbandonati nei pressi di piazza Carlo III.

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