A ben 32 anni dalla dismissione del vecchio stabilimento siderurgico
A Napoli ieri la premier Giorgia Meloni e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi hanno firmato l’accordo per la bonifica di Bagnoli. Finalmente a ben 32 anni dalla dismissione del vecchio stabilimento siderurgico Ilva/Italsider, inaugurato nel 1905. Bagnoli, una delle aree paesaggisticamente più attrattive di Napoli, potrà essere recuperata, riqualificata e rilanciata.
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L’investimento previsto dal governo Meloni è di 1,2 miliardi e l’augurio è che siano, come ci si augura sufficienti, e l’opera sia effettivamente portata a compimento entro i termini previsti. Oltre un miliardo di euro, quindi, per mettere la parola fine a oltre trent’anni (che diventeranno oltre 39, visto che la conclusione dell’opera è prevista per il 2031) di «promesse tradite» su Bagnoli e l’area ex Italsider.
Il costo del complesso chiuso
Ma quanto è costato finora questo complesso siderurgico, che fu dismesso nel 1992, – di cui ho ampiamente scritto nel saggio «Sud Oggi, come è cambiata e può ancora cambiare la questione meridionale» pubblicato dalla Nicola De Dominicis nell’ottobre del 1988 – e a capo un ammodernamento strutturale, alla metà degli anni ‘80, costato a sua volta ben 1.200 miliardi di lire, una cifra di per se astronomica, ma che per non impressionarvi preferisco non tradurre in euro, lasciando a voi il «piacere», se proprio ne sentite il bisogno, di calcolarlo (magari anche solo per sapere quanto ci sarebbe costata oggi) tenendo conto che ogni euro costava e costa quasi 2.000 lire.
Una semplice operazione aritmetica, e vi sarà tutto chiaro. Spero – considerata la cifra – non vi colga un colpo al cuore.
Eppure fu dismesso, nonostante la spesa smisurata – dopo questo costosissimo ammodernamento – fosse diventato lo stabilimento più moderno d’Europa nel settore specifico. E questo nonostante si sapesse ormai da tempo che non sarebbe mai più ripartito. Possibile che solo l’allora sindaco Bassolino non ne fosse a conoscenza? Non scherzate, certo che, sapeva anche lui, perché in quel momento l’acciaio era in crisi e bisognava parcellizzarne e distribuirne la produzione nei vari stabilimenti localizzati nei diversi Paesi e, per altro eliminando quelli divenuti superflui.
Era la fine degli anni ‘80 e l’inizio di quelli ‘90, quando, dappertutto tranne che nel Mezzogiorno ci si era resi conto che l’era industriale si avviava a conclusione. Purtroppo, da noi se n’è andata all’improvviso senza neanche salutarci e quella post-industriale nascente ci si è parata di fronte, senza neanche presentarsi.
Un occhio al futuro
Ma questa è storia passata, meglio pensare al futuro. E cercare di fare tesoro di quell’1,2 miliardi di euro, a valere sui fondi di coesione indicati dal Cipess per la regione Campania. Gli interventi previsti vanno dal completamento della bonifica del parco urbano alla realizzazione delle infrastrutture energetiche e idriche, la parziale rimozione della colmata a mare e la bonifica degli arenili. «L’opera di risanamento ambientale più ambiziosa d’Europa», cosi è stata annunciata.
Certo, anche su questo lo sceriffo Vincenzo De Luca ha voluto dire la sua. Sostenendo che i fondi utilizzati sono quelli di sviluppo e coesione destinati alla Regione Campania. Già, ma perché Napoli-Bagnoli e Coroglio, non fanne parte della nostra regione? La realtà è che lui e i suoi «compagni di partito e coalizione», incapaci di fare altro, polemizzano con tutti e, perché no, anche con se stessi, ma il governo di centrodestra va avanti e fa i fatti. Per la Campania, ma anche per il Sud. E, detto fra noi, è la cosa più importante e significativa.