I «noisti» dell’Autonomia sbagliano anche i quesiti referendari presentati alla Cassazione

di Mimmo Della Corte

Blaterano che spacca il Paese, ma grazie a loro, l’Italia è già divisa. Salari al Sud inferiori del 28%

Altro che referendum (per cui i richiedenti hanno sbagliato i quesiti referendari presentati alla Cassazione) contro l’Autonomia differenziata (per la quale i meridionali hanno già deciso di accettare la sfida). La verità è che – come sottolinea la Banca d’Italia – ll divario fra gli stipendi e i salari del Nord e quelli del Sud è ancora decisamente notevole. Basta pensare che quelli dell’Italia del tacco, in termini monetari sono inferiore del 28%, rispetto a quelli dell’alt(r)a Italia. Un divario che si riduce, però, ad appena il 6% quando si parla di salario reale medio.

Ma qualora si tenesse conto anche dell’inflazione, il gap nel reddito disponibile pro capite si ridurrebbe da circa il 35% nominale al 17% in termini reali. Una conferma che il nostro è già un Paese diviso a metà anche sotto il profilo delle retribuzioni. Di conseguenza in un quadro macroeconomico caratterizzato da crescita economica bassissima e inflazione alta, la questione salariale non può che essere posta al centro del dibattito pubblico e della riflessione economica.

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E non possono, non essere oggetto di analisi anche le divergenze generale tra il Nord il Sud dell’Italia. Se ne ricava, allora, che la divaricazione di reddito tra lavoratori con lo stesso impiego tra Centro-Nord e Sud, come rileva Bankitalia è in media di circa il 9%. E se è vero che, considerando tutti i salari, la differenza è del 28%, ma gran parte del distacco è dovuto al fatto che nelle regioni settentrionali sono più diffusi i lavori ben retribuiti a differenza del Sud.

Sicché, in definitiva le differenze esistono e non sono la conseguenza solo dei contratti locali ma anche dal fatto che nel Sud sono tuttora pochissime le grandi imprese rispetto al Nord, sono minori gli impieghi qualificati, la disoccupazione più alta, per cui i lavoratori finiscono per accettare lavori con retribuzioni più basse, in nero o irregolari, anche in deroga ai minimi contrattuali.

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Crescita salari praticamente zero

Sul fronte salari e stipendi, purtroppo, l’Italia al di sotto del Garigliano sta ancora leccandosi le ferite prodotte dalla stagnazione di salari e stipendi cominciata negli anni ‘90 e che, purtroppo, ancora continua senza soluzione di continuità. Anzi, col passare del tempo la situazione è andata lentamente, ma inesorabilmente peggiorando. Non va sottaciuto, infatti, che tra il 1991 e il 2023 stipendi e salari in Italia sono cresciuti di appena l’1%, contro il 32,5% di quelli degli altri Paesi Ocse.

Sarebbe il caso, quindi, che chi ha governato questo Paese dall’inizio degli anni ‘90 al 2022 – prima di allarmare gli italiani sul rischio della spaccatura del Paese, per altro inesistente, rappresentato dell’entrata a regime dell’Autonomia differenziata, provvedessero a spiegare a loro, ma anche a tutti noi, come mai questo Paese è già spaccato oggi, quando la «pericolosissima tagliola» dell’Autonomia differenziata – che tra l’altro sono stati loro ad inserire in Costituzione, con una maggioranza di appena 4 voti – a novembre del 2001 con la legge costituzionale n. 3/2001 che ne ha interamente riscritto il Titolo V, modificando l’assetto del governo territoriale e sovvertendo i tradizionali rapporti tra Stato centrale ed enti periferici.

Mentre quella attualmente al centro del dibattito e sta facendo tanto discutere ne detta soltanto le norme attuative, di cui «lorsinistri» si dimenticarono all’atto della stesura originaria come in sede di approvazione, la completa e ne prevede semplicemente l’attuazione. E a proposito, non dimenticate è ancora soltanto sulla carta.

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