Nell’operazione sono coinvolti 57 indagati
Una vera e propria centrale di riciclaggio nella capitale al servizio dei clan, dove a muovere i fili erano i figli di ‘vecchi’ boss. Fiumi di denaro che venivano ripuliti nel settore degli idrocarburi e in quello cinematografico, attraverso società cartiere intestate a prestanome, con l’aiuto di professionisti e imprenditori compiacenti. All’alba di ieri è scattato il blitz della Direzione investigativa antimafia che ha eseguito 18 arresti in tutta Italia. Le accuse sono, a vario titolo, di associazione a delinquere con l’aggravante mafiosa finalizzata alle estorsioni, usura, fittizia intestazione di beni, riciclaggio, autoriciclaggio e armi. Sequestrati beni per oltre 131 milioni di euro. Cinquantasette gli indagati.
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A finire in manette anche due ‘figli d’arte’: Antonio Nicoletti, figlio di Enrico, lo storico cassiere della banda della Magliana, e Vincenzo Senese, primogenito del boss Michele detto «o pazz». Per gli inquirenti avevano un ruolo di spicco nel riciclaggio del denaro sporco. Coinvolti anche il produttore cinematografico Daniele Muscariello, già arrestato un anno fa per riciclaggio, nella veste di fiduciario degli stessi clan, e Angelo Calculli ex manager musicale di Achille Lauro. Tre le società riconducibili a Calculli che sono state sequestrate.
Fra i 57 indagati figurano Domitilla Strina, la figlia di Anna Betz nota come Lady Petrolio, e l’ex calciatore Giorgio Bresciani che esordì nel 1987 in serie A con la maglia del Torino.
L’attività di indagine
Dall’attività d’indagine, avviata nel 2018 dalla Dia di Roma e coordinata dalla Dda capitolina, è emersa l’esistenza di due gruppi criminali che riciclavano per varie articolazioni, dalla camorra campana alla ‘ndrangheta calabrese, ingenti somme di denaro che veniva ripulito in diversi settori, in particolare negli idrocarburi e in quello cinematografico. Venivano costituite società fittizie per emettere false fatturazioni grazie al supporto fornito da imprenditori e da liberi professionisti compiacenti, tra cui un commercialista.
Per gli inquirenti a capo di una delle associazioni c’erano Antonio Nicoletti e Pasquale Lombardi, figura di riferimento nella zona di Aprilia, insieme a esponenti della criminalità organizzata campana. Avrebbero curato gli interessi dei clan Mazzarella-D’Amico e delle cosche della ‘ndrangheta. Per il gip, Antonio Nicoletti «godendo del potere criminale già ampiamente affermato dalle attività illecite e dalle cointeressenze mafiose del padre Enrico, rappresenta il punto di riferimento di dinamiche criminali qualificate sulla capitale».
Nell’ordinanza si descrive la sua figura come «capo e promotore che sovrintende e coordina tutte le attività della associazione di cui si trova in posizione apicale». Nelle carte viene riportato anche un episodio del luglio del 2019 in cui Nicoletti jr era stato aggredito nel corso di una rissa. «Nicoletti si è messo in mezzo ed hanno trattato male anche a lui – emerge in un’intercettazione -. Dopo però ci stava uno che lo ha riconosciuto e gli ha detto a questi: «Ahò fermatevi questo è il figlio di Nicoletti».
A capo del secondo gruppo, collegato al primo, sono stati individuati Vincenzo Senese, figlio di Michele, Salvatore D’Amico, detto o’ pirata, e Roberto Macori, ritenuto legato alla «destra eversiva romana, all’ombra di Massimo Carminati» e «divenuto prima l’alter ego di Gennaro Mokbel, per poi legarsi a Michele Senese». Proprio il figlio del boss Senese, secondo il gip, fungeva «da garanzia per gli investimenti delle ‘ndrine Morabito e Mancuso, e dal clan Rinaldi/Formicola nel commercio di idrocarburi». L’inchiesta ha documentato anche le opinioni di alcuni degli indagati sulla situazione criminale nella capitale. «Perché la politica là è la mafia, là se vai a Roma politici onorevoli tutti corrotti…perché è proprio la politica di Roma che è così» dicevano due indagati in una conversazione intercettata.