Un’Ue nella quale non siano più gli interessi dei paesi ricchi ad imporsi alla logica di sopravvivenza delle nazioni povere
Il progetto necessario, che interessa l’Europa, sta concependo con le ultime elezioni è quello di una versione diversa dello stare assieme dei paesi continentali. In cui non siano più gli interessi dei paesi ricchi ad imporsi alla logica di sopravvivenza delle nazioni povere.
Oggi nei 27 Stati europei qualcosa sta mutando direzione. Non è tanto la destra ideologica ad avere la meglio ed a conquistare i consensi, ma soprattutto la dabbenaggine della classe dirigente europea, preda della burocrazia, dei tecnicismi e soprattutto delle miopie e delle presbiopie che ha impoverito, nei decenni, le famiglie e ancora più grave non riesce a rassegnare margini di speranza alle nuove generazioni.
Al cospetto delle elezioni di domenica scorsa il laboratorio Francia sta evidenziando, come la classe dirigente per un verso si deve ringiovanire, perché si possa mettere mano ad un necessario aggiornamento delle idee, delle visioni e delle progettualità che devono rispondere ad un paradigma, fatto di solidarietà, di inclusione e di crescita.
Ma la Francia sta facendo anche un ulteriore passo avanti per costruire una democrazia senza esclusioni, senza cordoni sanitari che possano negare la possibilità ad alcuni attori politici di assumersi la responsabilità di governo (Le Pen, destra in genere e sinistre estreme).
Ora pare che la nazione transalpina si stia orientando ad una democrazia che consenta a tutti, ricevendo il consenso necessario, la possibilità di governare, di alternarsi, senza che un potere monolitico e immutabile possa arrogarsi l’esercizio senza pagare pegno. Chi governa male non può mantenersi in sella a prescindere dai risultati, ottenuti: economici, di buona amministrazione e di programmazione culturale.
Spazio ai cittadini
È un passaggio storico cruciale, in cui, più che le ideologie, possano le idee concrete ed i valori tradizionali garantire una cornice che dia spazio ai cittadini nel mettere in luce talenti e vocazioni, la cui combinazione sia in grado di declinare i tempi in maniera pragmatica e risolutiva. Non più, quindi, la società «liquida» o anche, in versione più aggiornata, «fluida» deve essere ritenuta un traguardo civile, innovativo e buono.
È per questo che la tripartizione elettorale francese deve essere appropriatamente esaminata, laddove rispetto ad una pronunciata scristianizzazione (punta estrema del classico laicismo francese) ed alla tendenziale creolizzazione (una versione multietnica di nuovo conio) ci si imbatte, e come uno scossone diviene travolgente, nella Francia rurale e periurbana che trova nella Le Pen, l’interprete, non solo come oppositore di Macron, ma capace di rappresentare questa identità francese in via di mutazione.
Qualcuno (Jerome Fourquet, conoscitore di statistiche che vanno a scovare i dati in profondità) dice che «la Francia non è più la Francia». E spiega che siamo ben oltre la fase della secolarizzazione. All’opera c’è una reazione che comincia a radicarsi e reagire rispetto alla «vera e propria scristianizzazione massiccia». La «dislocazione della matrice cattolica della società francese», scrive Fourquet nel suo libro sull’«arcipelago francese», ovvero vive la sua «fase terminale». «In sole due generazioni, la partecipazione alla messa domenicale è virtualmente scomparsa dal panorama sociale. Questo crollo della pratica della religione cattolica è stato accompagnato da quello del numero di sacerdoti nel nostro paese. Stiamo vivendo un momento di cambiamento, un vero cambiamento di natura».
Siamo di fronte ad un cambiamento di civiltà
«Lo choc delle immagini è importante: vediamo da una parte le chiese frequentate da persone anziane e che non sono più piene, mentre dall’altra parte la popolazione musulmana è giovane e, soprattutto, in sale di preghiera che non sono più sufficienti per contenere l’intera comunità. E’ l’idea di una competizione, di un’asimmetria tra religione cattolica, storica ma in declino demografico, e un islam percepito come in piena dinamica demografica».
Da queste paure viene fuori una diversa domanda culturale che pretende un ritorno alla tradizione, che assuma la forza, e quindi attraverso il consenso politico, affinché si possano compiere scelte per invertire la china. E dopo la geopolitica è la demografia che ormai divenuta la chiave della politica. E qui che risulta improcrastinabile mettere a fuoco la condizione esistenziale dei giovani che devono coltivare una prospettiva di speranza e trovano in Francia, probabilmente in Bardella, l’interprete giovane che coniughi tradizione e futuro, radici rurali e dinamiche che combattano l’invecchiamento o siano capaci di rallentare la vetustà delle idee non col «nuovismo», ma con il risvegliare un’Europa che si attarda con i vecchi schemi.
Oggi di fronte ad un’Europa che prende troppo tempo prima di decidere. Di fronte ad un’Europa che è lenta nel definire una risposta sul piano sanitario o sul piano fiscale per dare a ciascun paese, che la costituisce, uguali pesi ed uguali opportunità di benessere. Di fronte ad un’Europa che ha dedicato fin troppa astratta attenzione alla green-economy e ad armare l’Ucraina, senza pace e senza costrutto, senza guardare ai ben più rilevanti vincoli di solidarietà. Beh … rispetto a quest’Europa che non è stata sufficientemente vigilante nel definire regole comuni di comportamento degli Stati membri per ciò che riguarda le frontiere e la circolazione delle persone oggi si sente la necessità di un risveglio europeo, che si sta appalesando con le varie tornate elettorali, accompagnato da uno sguardo mirato alla produttività ed un’attenzione ricalibrata in direzione dei popoli e non delle elitès.