Si riparla di Ulivo, Prodi, Rutelli e Mastella. L’eterno ritorno dei «sepolcri imbiancati»!

di Mimmo Della Corte

Dopo il presente, vogliono distruggerci il futuro. Fomentano gli odi e rischiano di riportare le lancette degli orologi agli anni di piombo

«Sepolcri imbiancati», «vecchie cariatidi della politica», scribi, nani, ballerini e «premier senza popolo» ovvero quei «signorotti» arrivati a palazzo Chigi, senza passare per le urne. Hanno rotto il silenzio. La randellata subita dai loro «amichetti» alle europee gli ha fatto ritrovare la voce, sono e hanno ricominciato a «blaterare» di una nuova accozzaglia made Ulivo, capeggiata dal vecchio fondatore, Prodi, con Rutelli federatore e Mastella primo sostenitore. Il trio delle meraviglie, anni tremila.

Ma quale futuro possono offrire all’Italia quei «sepolcri imbiancati» che ne hanno condizionato il passato, rovinandogli il presente. Obiettivamente, nessuno. Tant’è che il loro unico obiettivo non è costruire il domani, d’Italia, ma, manco a dirlo, fermare la destra che al governo per il loro carattere sta facendo troppo bene e rischia di tenerli troppo a lungo dal poltrone che contano. Non per il Paese, quindi, ma per ribadire che sono loro che devono governare con voto o senza voto.

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Stavolta, però, non gli sarà facile. Non basterà continuare ad annunciare catastrofi e gridare «al lupo, al lupo». Gli italiani li hanno sgamati e non credono più all’uomo nero. Vedi, il risultato delle europee. Possibile, però, non si rendano conto che con tale protervia ed arroganza, fomentano gli odi, rischiando di riportare le lancette degli orologi agli anni di piombo?

Le trattative per la nuova commissione Ue

Stesso discorso e medesima aspirazione al di là dei nostri confini. Dove da lunedì, sono cominciate le trattative per la nuova commissione Ue. Alla cui maggioranza, liberali e socialisti – nonostante la sconfitta subita – sembrano non volere né la partecipazione né l’appoggio esterno dei conservatori. E, soprattutto, non intendono cedere all’Italia quel ruolo centrale che le spetterebbe di diritto perché: fondatrice dell’Ue, seconda manifattura e terza economia dell’area. E perché quello tricolore è stato l’unico governo europeo uscito vincente dalle urne e la cui premier è anche leader del Gruppo dei Conservatori Europei che, con le 11 nuove adesioni post-elettorali, si ritrova 83 europarlamentari. Più dei macroniani.

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Un ruolo che dovrebbe girare attorno a due incarichi, di prestigio per i quali, la premier, ha proposto: la Belloni agli Affari interni o i migranti e Giorgetti al Bilancio europeo. Ma gli eurosinistri non ci stanno. Tant’è che se l’agenzia Blomberg segnala che «snobbare la Meloni in Europa sarebbe un errore», Scholz e Macron per ridimensionarne il risultato e la centralità costringono l’Ue, a lanciare – pur sapendo che l’Italia non ci sta – i soliti due ricatti: l’ingresso di Enrico, stai sereno, Letta nel Consiglio europeo e la ratifica del Mes e sperando anche che le trattative per la nuova commissione si concludano prima delle elezioni anticipate in Francia. Un’altra sconfitta di Macron potrebbe avere, infatti, ripercussioni «tragiche» per loro. Nella distribuzione delle poltrone, ovviamente.

Le «avances» di Macron e Scholz

Incuranti del pericolo che l’Europa – per le costosissime ecofollie ideologiche della transizione green e le guerre in atto, già non attraversa un momento di grande splendore – possa vedere ulteriormente peggiorare le proprie condizioni. Causa il protrarsi delle guerre in atto e il ritorno della pace che sembra allontanarsi sempre. Ed è, probabilmente, proprio per questo che il 51% dei Paesi membri, l’Italia più altri 13 – sollecitati dalla Meloni che li ha accusati di fare solo giochi di potere – hanno rifiutato le «avances» di Macron e Scholz per la costituzione di una maggioranza: Ppe, liberali e socialisti, con l’esclusione di conservatori, sinistra non allineata e verdi, ma pretendendo di continuare a contare sui loro voti, quando occorre.

Ed è fin troppo evidente che l’avviso del ritorno del «patto di stabilità», del rigore e dell’infrazione per deficit – nel pieno delle trattative politiche per la formazione della commissione – rappresenta un ulteriore problema per noi e gli altri 6 Paesi, – compresa la Francia – «avvisati».

Intanto, la Camera ha approvato la riforma dell’Autonomia differenziata. La maggioranza festeggia, ma le opposizioni rosicano e hanno annunciato l’avvio della raccolta delle firme per il referendum popolare, perché la legge non ha ottenuto la maggioranza del 75% dei componenti, richiesta dalla Costituzione. E stessa sorte potrebbe toccare al «premierato» se fra tre mesi, in occasione della seconda votazione alla Camera della legge i «si» si dovessero fermare al di sotto dei 267. Data l’importanza delle due norme – di cui, fino a poco tempo addietro, finché erano al governo, anche Pd e M5S erano fautori – gli italiani, come già successo tante volte, si dimostrino migliori di chi pretende di governarli senza avere né voti, né competenze per farlo.

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