Partite le trattative per il nome del nuovo commissario
Incidere sulle scelte che andranno fatte per i nuovi assetti europei. Anche se i numeri certificano che non si potrà materializzare quella «maggioranza di centrodestra» sul modello italiano promossa durante la campagna elettorale. Giorgia Meloni incassa l’avanzata di Fdi, e delle destre, alle elezioni europee ma ha festeggiato «cinque minuti». Perché la partita non è che al calcio d’inizio. E ora c’è da trovare il modo di fare pesare anche a Bruxelles la «forza» del governo italiano, unico tra i grandi paesi Ue che esce «solido» dall’esito del voto.
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Dopo avere compulsato i risultati a distanza e avere raccolto l’applauso dei suoi nella notte, la premier vola a Borgo Egnazia, in Puglia, per supervisionare gli ultimi preparativi del vertice del G7 che si aprirà giovedì e per studiare i dossier che la porteranno anche in Svizzera, nel fine settimana, per la conferenza sull’Ucraina e poi a Bruxelles, per la prima cena informale dei leader dopo il voto europeo.
La prima scommessa è quella di portare a casa degli impegni dei grandi sull’intelligenza artificiale ma anche sull’immigrazione, cavallo di battaglia del suo governo. Ma la tre giorni del vertice sarà anche l’occasione per primi confronti informali, tra gli ulivi della masseria di Fasano, con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, oltre che con la stessa Ursula von der Leyen, sullo schema da proporre per i nuovi eurovertici.
La guida della commissione
La presidente uscente, al momento, rimane il nome che il Ppe dovrebbe proporre al Consiglio europeo per un bis alla guida della commissione. «Quando la proposta sarà formalizzata la valuteremo», si tiene cauta la premier, ricordando che, appunto, prima di arrivare davanti al Parlamento europeo, il nome prescelto deve trovare il gradimento del Consiglio. L’Italia, assicura, «non farà da spettatrice». Anzi.
Gli sviluppi dal voto francese
Una delle ipotesi, la scommessa italiana, è di lasciare decantare il negoziato in attesa del voto francese di fine giugno-inizio luglio. E nel frattempo, magari, vedere se può emergere qualche altro nome su cui trovare una convergenza. D’altronde, lo stesso Antonio Tajani, che rappresenta il Ppe in Italia, ha sottolineato come quella di von der Leyen sia per ora «una indicazione politica, non un vincolo giuridico» e che è «ancora troppo presto» per parlare di un bis. Certo sarebbe complicato per Meloni restare fuori dall’accordo per la nuova presidenza della Commissione. Ma altrettanto lo sarebbe dare un sostegno pieno a von der Leyen, al Consiglio e al Pe, senza scoprirsi troppo a destra.
Tra i conservatori di Ecr, Fratelli d’Italia è l’unico grande partito che si ritrova al governo, mentre gli alleati di Vox e del Pis (che nel 2019 sostenne von der Leyen) dall’opposizione si possono smarcare. Così come Marine Le Pen, che ora punta a vincere le elezioni legislative in Francia e farà, con ogni probabilità una campagna elettorale tutta contro Macron, che siede invece con Meloni al Consiglio Ue come al G7.
Del posizionamento Ue come delle questioni interne ai conservatori, dall’allargamento di Ecr (ai romeni di Aura o agli ungheresi di Fidesz) alle ipotesi di formare un gruppo unico con Id (la famiglia di Le Pen e Matteo Salvini) si è già iniziato a riflettere dentro Fratelli d’Italia e la discussione sarà avviata anche a Bruxelles già da mercoledì, quando è prevista una prima riunione informale del gruppo. Nel frattempo Meloni inizierà a sondare i suoi omologhi, per capire quali margini ci siano per evitare di rimanere fuori dai giochi europei. Contando magari che il tempo delle scelte arrivi più avanti.