Riforme, Meloni accelera: «Basta parole, è tempo di fatti». E fra 6 giorni Europa alle urne

di Mimmo Della Corte

De Luca? «Il miglior disprezzo è la noncuranza», finga di non sentirlo e prosegua per la strada

La campagna elettorale rancorosa, fondata su bugie e falsità che Schlein, Conte e l’opposizione stanno mettendo in campo – hanno spinto i centri sociali a cercare d’impedire, con la violenza, i comizi di chiusura della campagna elettorale di Meloni a Roma e di Salvini a Milano – ma non hanno impedito il successo delle due iniziative.

Intanto, secondo «l’Economist» sono Von der Leyen, Meloni e Le Pen le tre donne che cambieranno l’Ue. Con la premier italiana che potrebbe avere un ruolo centrale in questo rinnovamento, così come nella foto di copertina del servizio, è al centro, con le altre due leader che la guardano, con rispetto.

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Riconoscono la ventata di novità che ha portato in Europa con il suo avvento alla guida dei Conservatori Europei, ma anche per quanto sta facendo dal suo ingresso a palazzo Chigi e, probabilmente, per la determinazione con la quale sta perseguendo l’obiettivo di dare all’Italia, quelle riforme che il Paese aspetta da oltre 30 anni e indispensabili al suo rinnovamento. Incassando la disponibilità, di Calenda che si dice pronto a collaborare e di Renzi che l’invita «ad andare avanti». Esortazione superflua.

Pur avendo più volte chiarito che preferirebbe riforme condivise, ha anche ribadito che, se l’opposizione continua «a dire no a tutto» andranno «avanti da soli». E visti i continui «niet» ricevuti hanno deciso ad accelerare. Da soli! Vero, in Parlamento il centrodestra pur contando su grandi numeri, non ha quelli necessari (75%) ad evitare il referendum confermativo. Sicché l’ok delle aule, salvo sorprese, dovrà essere confermato dagli italiani. Obiettivo, già, fallito due volte. Oggi, però, c’è qualcosa di diverso fuori dal Palazzo.

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Qualcosa è cambiato

I risultati conseguiti in quest’anno e mezzo di governo (le agenzie di rating continuano a promuovere i conti dell’Italia; l’occupazione ha raggiunto il suo record storico, il pil cresce più di quanto cresca negli altri paesi dell’Eurozona, lo spread è calato di oltre 100 rispetto a quando s’insediò; il potere d’acquisto di salari e stipendi grazie al taglio del cuneo fiscale, alla riforma Irpef, nonché gali sgravi contributivi per le madri lavoratrici è cresciuto più dell’inflazione) fanno si che la Meloni, sia ancora in sintonia con i cittadini, che al 55%, («Repubblica») sono per il «sì» al presidenzialismo; per il 72% (YouTrend) per il «sì» alla riforma della Giustizia e per il 65 per la separazione delle carriere. Stavolta, quindi, le cose potrebbero andare diversamente.

L’errore della personalizzazione

Purché la leader eviti quell’eccesso di personalizzazione del referendum che fu fatale a Silvio e Matteo. Ed è proprio quello che ha fatto Giorgia quando – intervistata dalla Latella al festival dell’Economia di Trento e poi, con ancora maggior forza durate la manifestazione di sabato a Piazza del popolo, e pur confermando di ritenere l’introduzione del premierato la madre di tutte le riforme – ne ha preso, però, le distanze. Ribadendo che a essere oggetto del «confermativo», sarà la norma, non lei.

Per cui se gli italiani voteranno «no», bocceranno, la riforma, rinunciando a un’opportunità storica di cambiare le carte sul tavolo della politica e rafforzare la democrazia italiana, non lei. Per cui anche in caso di sconfitta non si dimetterà. E avrà, anzi, una ragione in più per restare al suo posto: continuare a battersi per il rinnovamento e lo sviluppo del Paese.

Saranno, poi, gli elettori a fine legislatura a tirare le somme ed esprimersi sul suo operato e decidere se confermarla o meno. Dichiarazioni che mentre rappresentano una sorta di blindatura della riforma, deludono quanti sperano nel fallimento del referendum per «liberarsi» di lei, del suo esecutivo e del centrodestra.

Le polemiche degli avversari

Di conseguenza non sono mancate le polemiche degli avversari che hanno dimostrato ancora una volta di non avere alcuna intenzione di affidare, come detta la Costituzione, al popolo, bensì continuare a restringerla nelle mani dei residenti nei palazzi della Politica. E a farsi sentire per primi, i senatori a vita: Segre, Cattaneo e Monti. In fondo, c’era d’aspettarselo.

Il premierato cancella i «nominati» del Capo dello Stato. Ed è probabile che si facciano sentire anche gli altri 2: Piano e Rubbia. «Con autonomia e premierato vogliono imporre la legge del più forte», ha detto Schlein, (dimenticando che proprio questi, erano i capisaldi del Pds di Occhetto, da cui discende il suo Pd, ma evidentemente non lei); «Se perde dovrà andare a casa» ha aggiunto Renzi, forse non sa che la Costituzione all’art. 138 che detta i criteri per l’approvazione del referendum, non prevede le dimissioni del premier in caso di sconfitta. Anche il cardinal Zuppi, capo della Cei, ha bocciato il premierato. Ma la riforma non tocca i rapporti Stato-Chiesa, allora, perché?

Chissà, forse teme – ovviamente, (dis)interessatamente – per la sopravvivenza dell’8 per mille? Tanti anche consigli e inviti a pazientare degli amici o presunti tali. Che continuando a far balenare il rischio «personalizzazione» – che lei ha cercato di evitare – e a chiederle di avere pazienza e aspettare che «la maggioranza si allarghi», Rotondi e Cassese docunt. Come se trent’anni d’inutile attesa, di incapacità di rinnovamento politico e strutturale non avessero bloccato già fin troppo a lungo la crescita e lo sviluppo del Paese.

Il voto europeo

Ma su questo, il voto europeo di sabato e domenica e l’attribuzione dei 76 seggi a disposizione dell’Italia, ci diranno qualcosa di più su cosa davvero vogliono gli italiani. E per finire, mi permetto di dare a Giorgia, un consiglio davvero disinteressato a proposito del governatore Vincenzo De Luca, lo lasci stare. Magari lo ascolti, ma finga di non sentirlo. In fondo, lo dice anche l’antica saggezza che «il miglior disprezzo è la noncuranza» tanto, aggiunge qualcun altro «a lavare la testa all’asino si spreca tempo e danaro». E a buon intenditor poche parole.

Setaro

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