Terrorismo, scacco alla mafia turca: il boss Baris Boyun arrestato in Italia

di Fabio Maresca

L’uomo intercettato: «Sostituiremo il Pkk per la rivoluzione»

Non solo propositi di alto spessore criminale ma anche un «programma politico» che coinvolge lo Stato e la «destabilizzazione» delle istituzioni passando anche attraverso l’imposizione del «terrore nella popolazione». Sono questi alcuni degli elementi che hanno consentito di ricostruire «le finalità terroristiche» della rete guidata dal presunto boss della mafia turca Baris Boyun, uno degli uomini più ricercati da Ankara, arrestato oggi assieme ad alcuni suoi sodali in una operazione condotta dalla Polizia e dalla Gdf e coordinata dalla Procura di Milano, che ha interessato anche Germania, Olanda, Svizzera e Serbia oltre che la stessa Turchia.

Boyun, a giugno 40 anni, una moglie e una fidanzata che lo hanno sempre sostenuto sposando i suoi piani di «guerra per conquistare la supremazia su altri gruppi criminali che hanno infestato, a suo giudizio, lo stato turco», è ora nel carcere milanese di Opera dove, dopodomani, verrà interrogato da Roberto Crepaldi, il gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare e che lo ritiene «il capo indiscusso dell’associazione».

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Il ruolo di Boyun

È lui che dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (nel quale è stata inserita una microspia) in un paesino della Calabria, avrebbe coordinato sia il traffico di stupefacenti e di armi – anche da guerra, «micidiali», come i kalàšnikof, uzi e bombe a mano – , sfruttando i canali all’estero e le sue conoscenze in Turchia. È lui ad aver organizzato, si legge nel provvedimento, l’ingresso dei migranti in Italia, definendo pure le tariffe, e ad aver orientato la strategia del gruppo in merito al contrabbando di sigarette e farmaci e all’uso di fiumi di denaro di cui disponevano.

E sarebbe ancora stato lui il mandante dell’omicidio di due mesi fa a Berlino di un componente dell’organizzazione che, nei suoi piani, doveva azzerare, e «a ordinare la vendetta» rispondendo all’attentato nei confronti suoi e della moglie con l’attentato di marzo scorso, poi fallito, nella fabbrica di alluminio alle porte di Istanbul. «Siete pronti ragazzi? Buona fortuna in battaglia! Radete al suolo quella fabbrica», ha incoraggiato i suoi.

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I quali di certo hanno «riconosciuto» il suo ruolo di «leader» tant’è che, non solo gli avrebbero giurato «fedeltà fino alla morte», ma lo avrebbero «scortato armati per evitare che subisca agguati» e subito dopo il suo arresto si sarebbero assicurati «che il suo telefono non sia caduto in mano della polizia e che l’auto (rubata all’estero, ndr) sia fatta immediatamente sparire».

Una rete di connazionali che avrebbe condiviso ciò che le indagini coordinate dall’antiterrorismo milanese, ossia dal neo procuratore aggiunto Bruna Albertini e dal procuratore Marcello Viola, hanno individuato come «scopi politici» portati avanti anche con attentati. Ai tre emersi dalle intercettazioni – nella fabbrica, in una gioielleria e in un ristorante di lusso di una catena turca – se ne dovrebbero aggiungere altri sparsi in Turchia e in Europa, ma non in Italia e che inquirenti e investigatori stanno ricostruendo.

La famiglia dei Sarallar

E che l’obiettivo fosse scalzare la famiglia dei Sarallar «attualmente al potere» e nel contempo «interferire con lo status quo esistente in Turchia» e dunque «imporre il suo potere criminale su quello di altri criminali e sullo Stato» al quale, a suo dire, «sono legati», lo testimoniano alcune intercettazioni riportate nell’ordinanza del gip nei confronti di 19 persone, tutte arrestate tranne una.

«È vicina al governo – ha affermato – e riescono a comprare anche i giudici, sono potenti ed influenti con i loro deputati e i commissari (…) mentre noi siamo persone cresciute in strada (…) di terza, quarta classe». Inoltre il loro capo «è mafioso ma allo stesso tempo è un imprenditore ed è in grado di pagare tangente e ottenere ciò che vuole».

Conversazioni a cui se ne aggiunge un’altra in cui annuncia di aver «mandato notizie alla gerarchia superiore del Pkk, ho detto che non accettiamo un’organizzazione così e che fonderemo una nuova organizzazione iniziando una nuova rivoluzione». Per questo e anche per la volontà di «imporre il terrore nella popolazione» o quanto meno su una parte di essa, tra i reati contestati, accanto all’omicidio e al traffico di droga e armi, ci sono banda armata con finalità di terrorismo e attentato terroristico.

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