Caso Cecchettin, 75 coltellate per uccidere Giulia. Pm: «Turetta andato oltre l’omicidio»

di Fabio Maresca

Il ragazzo controllava l’ex fidanzata con app-spia

Quando sabato pomeriggio 10 novembre Filippo Turetta arrivò in auto sotto casa di Giulia Cecchettin, l’ex fidanzata, con la scusa di un giro al centro commerciale, sapeva già che di lì a poco l’avrebbe uccisa. Sapeva come – sequestrandola e accoltellandola – e sapeva dove si sarebbe sbarazzato del corpo – vicino al lago di Barcis – Aveva preparato tutto, «almeno dal 7 novembre» scrivono i pm della Procura di Venezia nell’atto di accusa notificato ai difensori del 22enne e alle parti offese. E nelle ricerche su internet, nei giorni precedenti il delitto, il ragazzo si era concentrato sulle voci «nastro isolante, manette, cordame, badile, sacchi neri».

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Non sapeva – non si aspettava – che Giulia avrebbe reagito con tutte le sue forze all’aggressione in macchina, nel tempo ‘infinito’ tra il primo agguato nel parcheggio di Vigonovo, e il secondo, nella zona industriale di Fossò. E (forse) non era chiaro a Filippo che si sarebbe macchiato di una crudeltà «chiaramente eccedente l’intento omicida» che l’avrebbe condotto sulla strada per l’ergastolo.

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Ma perché Turetta, a Fossò, dovette inseguire Giulia, facendola cadere a terra, e colpendola con altre coltellate? Perché, spiegano i pm, «fuggendo dall’auto in cui era costretta» la ragazza stava mettendo «di fatto a rischio il piano esecutivo dell’omicidio». A sostegno della premeditazione, i pm scrivono che Turetta avrebbe «tenuto fermo il proposito di delinquere, superando le inibizioni e gli ostacoli al proprio impulso criminogeno» – dato il rapporto con la vittima – «per un apprezzabile lasso temporale», in attesa che si presentasse «un’occasione adeguata per attuare il proprio intento».

Il quadro accusatorio

A carico dell’ex universitario di Torreglia, in carcere a Verona da cinque mesi, i magistrati ritengono d’avere un quadro d’accusa, con dati «oggettivi», tale da far impallidire il tentativo dell’indagato – come fu nell’interrogatorio di novembre – di derubricare uno «spietato piano criminoso» ad un banale «blackout», al «devo ricostruire cosa mi è scattato in testa….».

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Aveva cercato di cancellare le tracce della navigazione sul suo computer Filippo. Ma gli esperti informatici le hanno recuperate, scoprendo che Turetta si era appuntato un file su «come legare Giulia, con il nastro adesivo mani, caviglie, ginocchia» e anche «come tapparle la bocca». Nelle carte dell’avviso conclusioni indagini, giunto in carcere anche a Turetta, i magistrati spiegano che lo studente aveva costruito «nel dettaglio» tutte le fasi del delitto, pianificandolo «almeno dal 7 novembre», quattro giorni prima del fatto. Ma, sostengono anche, ci pensava da molto più tempo, dopo essere stato lasciato, nelle lunghe giornate a casa senza fare null’altro che pensare a Giulia.

A Filippo non bastava controllare le sue interazioni sui social, o tormentare la sorella, Elena, su dove andasse e chi vedesse la ragazza. Turetta, scrivono i magistrati, ne controllava continuamente i movimenti anche grazie ad applicazioni «spia» piazzate sul cellulare. Quando salì sulla sua Fiat Punto nera, quel 10 novembre, il giovane aveva già caricato tutto per compiere l’omicidio, sbarazzarsi del corpo, e fuggire all’estero.

Il 22enne, accusato di omicidio volontario premeditato, avrebbe usato due coltelli: quello trovato spezzato nel parcheggio vicino a casa di Giulia, a Vigonovo, e quello dell’agguato di Fossò, repertato nella sua auto, dopo l’arresto in Germania. I magistrati non escludono che ne avesse «un terzo, poi scomparso».

Così come non sono più stati trovati il telefonino e la borsa di Giulia. Quanto alla ferocia con cui si accanì su Giulia, ormai morente, solo due delle 75 coltellate sarebbero state mortali, una al collo e l’altra al petto; gli altri fendenti avrebbero prodotto tagli imprecisi o da difesa della vittima. Giulia, è anche emerso, sarebbe stata colpita molte volte anche al volto, per sfregiarla.

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