Secondo i magistrati era l’alter ego di Matteo Messina Denaro
Secondo i magistrati era l’alter ego del fratello Matteo Messina Denaro. Solo a lei, tra i familiari, il capomafia aveva detto di essere gravemente malato. Una confidenza che è poi risultata fatale al latitante, scoperto dopo 30 anni di vita alla macchia proprio per un pizzino con appunti sulla sua salute nascosto nella gamba di una sedia di casa della sorella Rosalia. Alla donna, arrestata un anno fa, i pm di Palermo hanno presentato il conto.
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Ed è un conto salato: 20 anni di carcere per associazione mafiosa e ricettazione, una pena pesante nonostante lo sconto previsto per il rito abbreviato. Una richiesta su cui il gip si pronuncerà l’11 luglio. La requisitoria in aula è stata fatta dai pm della dda Piero Padova e Gianluca de Leo che hanno indagato sulla maggiore delle sorelle del boss, scoprendo il ruolo da lei assunto negli ultimi anni di latitanza del padrino. Per anni, secondo gli inquirenti, la donna avrebbe aiutato il fratello a sottrarsi alla cattura, avrebbe gestito per suo conto la «cassa» della «famiglia» mafiosa e la rete di trasmissione dei pizzini, consentendo così al capomafia di mantenere i rapporti con i suoi uomini durante la sua lunga latitanza.
Rosalia Messina Denaro è la maggiore delle quattro sorelle dell’ex boss ricercato morto a settembre, la madre di Lorenza Guttadauro, avvocato che, dal giorno del suo arresto, ha difeso il capomafia, e la moglie di Filippo Guttadauro, che ha scontato 14 anni per associazione mafiosa ed è tuttora in carcere al cosiddetto ‘ergastolo bianco’. Il secondo figlio della donna, Francesco, nipote prediletto del padrino trapanese, sta espiando una condanna a 16 anni sempre per associazione mafiosa. E in carcere dopo una condanna a 14 anni c’è anche una seconda sorella del boss, Patrizia, detenuta come il marito e due cognati.
«Una personalità negativa»
I giudici del Riesame che respinsero la sua richiesta di scarcerazione descrissero Rosalia come «una personalità negativa, allarmante». Mentre il gip che l’arrestò parlò di «una stretta, protratta e variegata compenetrazione della donna con Cosa Nostra» e di un suo «contributo radicato e stabile offerto all’interno dell’associazione in più ambiti, come il coordinamento del sistema di trasmissione delle comunicazioni in modo continuativo e fiduciario». Dopo la cattura del capomafia, il 16 gennaio 2023, sono finiti in cella già 14 fiancheggiatori dell’ex latitante. Quattro sono già stati condannati.
Gli ultimi arresti sono di mercoledì scorso quando a finire in cella sono stati Massimo Gentile, un insospettabile architetto che gestiva gli appalti del Pnrr per il Comune lombardo di Limbiate, accusato di aver prestato l’identità al padrino e di aver comprato per lui una moto, il tecnico radiologo Cosimo Leone, longa manus del boss durante il suo ricovero a Mazara del Vallo, e l’operaio Leonardo Gulotta, che gli avrebbe messo a disposizione l’utenza telefonica. I primi due si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti al gip mentre Gulotta si è detto innocente. «Di quello che mi contestate non so nulla», ha sostenuto