Primeggiano in giornali e tv, ma straparlano di «TeleMeloni» e denunciano la dittatura

di Mimmo Della Corte

Schlein & Co., accusano il centrodestra ma il loro sistema di potere detta ancora legge

«Il potere logora chi non ce l’ha» diceva Andreotti, mentre lo scrittore Usa Walter assicurava che «Per mantenere il potere non sono decisivi gli strumenti di coercizione in quanto tali, ma le tecniche di controllo sociali». Metodi di cui il governo Meloni è assolutamente sprovvisto, mentre l’attuale opposizione – facendo tesoro degli insegnamenti gramsciani – ha avuto modo di costruirsi in decenni di gestione del potere e presenza al governo. Proprio per poter servirsene quando, e se, ne avesse avuto bisogno.

Ed è quello che sta facendo, oggi dal momento che non riuscendo a rassegnarsi alla sconfitta, approfittando al meglio della collaborazione di quella rete di media: cartacei, televisivi, internet e web. Che ha messo insieme, negli anni di presenza al governo e sempre pronti ad accorrere in suo aiuto, in nome della vecchia amicizia e per riconoscenza dei favori ricevuti nel tempo.

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È grazie a loro che – incapaci di avanzare proposte progettuali per il Paese, ma bravissimi a contestare il governo – Schlein, Conte & c., si stanno «sbattendo» in maniera faticosissima per recuperare lo spazio perduto. Continuando a pretendere – e, purtroppo, sovente, riuscendoci – di dettare le regole del gioco, e – con la collaborazione delle «toghe rosse» e in nome dell’eterno antifascismo militante, pur in assenza del fascismo – tenere sotto controllo il governo. Sia chiaro, però, che lo fanno, «in difesa della democrazia» e di quella Costituzione che, però, sono loro ad attentare quotidianamente.

I giornali amici, l’Agcom e «TeleMeloni»

Basta dare anche soltanto una furtiva scorsa ai giornali loro amici per averne consapevolezza, sulle cui prime pagine, non mancano elogi a questo o quell’esponente del sinistrume grillinesco italico o alla signora dalle «tre residenze»: Italo-svizzera-statunitense e leader del Pd che, un giorno sì e l’altro pure, straparla di Rai lottizzata da FdI, battezzandola come «TeleMeloni». Con il silenzio, anzi la complicità, ovviamente disinteressata dell’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni) che vede ciò che non c’è: la Tv pubblica asservita alla Destra, ma non s’accorge di ciò che da tempo sotto gli occhi di tutti: la prostrazione totale della Rai alla sinistra.

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Al punto da non vedere neanche ciò che lei stessa certifica mensilmente con i monitoraggi. Uno per tutti, quello di febbraio dal quale si rileva come siano proprio il Pd e la Schlein ad occupare la maggiore parte dello spazio (10,7%) messo a disposizione dei partiti dalla tv di Stato, primeggiando, nel Tg3 (15%) e nel Tg1 (14%) e RaiNews24, mentre la premier Meloni e FdI devono accontentarsi del 10,2% e, quindi, del secondo posto, al terzo M5s 9,4%, poi Lega 6,2% e, infine Fi 5,3%.

Di più, fra «i primi 20 soggetti politici istituzionali nei Tg», il primo posto è appannaggio della Schlein con il 10,8% di spazio a disposizione, poi la premier Meloni, ma a ben 3 punti di distanza (8%), terzo Conte con il 6% e solo quarto, distanziatissimo Mattarella 5,1%.

La «tribuna elettorale»

La «certificazione» dell’inesistenza di TeleMeloni, che pare aver spinto l’Agcom ad aggiustare un tantinello le cose. Peccato, però, abbia pensato di farlo come «Il mondo» del generale Vannacci ovvero «al…contrario», non per rimetterle in ordine, bensì per aprire altre nicchie di visibilità nel «campo santo», considerando come «tribuna elettorale» il tempo che i Tg dedicheranno al governo. Non si sa ancora come lo faranno, ma la certezza è che diminuirà quello a disposizione della maggioranza nell’ambito dei Tg. Pazienza, siamo in campagna elettorale ed è tempo di «dispar condicio». Purtroppo, «Ann perzo ‘e vuoje e vann lasciann ‘e ccorne».

Diciamolo apertamente e senza infingimenti: non c’è chi non veda l’accresciuto protagonismo della Consulta e il tentativo di colonizzazione che la magistratura sta provando, sin dalla nascita del governo Meloni, a mettere in atto, esautorando il Parlamento dal potere legislativo che la Costituzione gli attribuisce.

Sembra di essere ritornati alla discesa in campo di Berlusconi e al suo primo governo di centrodestra. Con la Consulta (che sostiene di dover colmare vuoti normativi), la Corte dei Conti (che attacca Fitto sui fondi Pnrr, dopo averne apprezzato l’operato sullo stesso argomento) e la magistratura ordinaria (vedi il «no» alle norme sull’immigrazione; sequestro milionario ai danni di Dell’Utri, e l’accusa a Santanchè per Visibilia ecc.), sempre pronte a mettersi di traverso sulla strada dell’esecutivo.

Setaro

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