La Cassazione ha accolto il ricorso della Procura
La Corte di Cassazione ha annullato l’assoluzione di Michele Senese, detto ‘O’ Pazz’, nell’ambito del processo romano nato dalla maxi inchiesta della Dda di Roma ‘Affari di Famiglia’. I supremi giudici della seconda sezione penale hanno sostanzialmente accolto il ricorso della Procura della Capitale contro la sentenza che il 9 febbraio dello scorso anno aveva assolto Michele Senese e aveva fatto cadere l’aggravante dell’agevolazione mafiosa disponendo un appello bis. La procura generale della Cassazione aveva chiesto, invece, di confermare la sentenza della Corte di Appello di Roma.
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Nella memoria il pg aveva sottolineato come «i collaboratori hanno riferito, sempre parlando di Michele Senese, di un soggetto a capo di un gruppo delinquenziale particolarmente forte a Roma, perfino dominante nel settore degli stupefacenti, ma ciò – ha evidenziato il pg della Cassazione – non è sufficiente per qualificarlo come di stampo mafioso, e comunque è superfluo sottolineare come il territorio capitolino sia disseminato di gruppi criminali di rilievo».
In primo grado a Roma c’erano state una ventina di condanne, tra i quali la moglie Raffaella Gaglione, il figlio Vincenzo e il fratello Angelo e altri imputati, per oltre 120 anni di carcere per accuse che vanno dall’estorsione, all’usura, riciclaggio e trasferimento fraudolento dei valori. Michele Senese, già condannato in via definitiva nel 2017 a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto il 10 settembre 2001 a Torvaianica, sul litorale romano, era stato condannato a 15 anni. Sentenza poi ribaltata in Appello con l’assoluzione.
L’accusa a Michele Senese
Secondo l’accusa Michele Senese anche dal carcere continuava a coordinare e gestire le attività illecite della famiglia stabilendo la strategia criminale, scambiando ‘pizzini’ con i familiari durante i colloqui, in particolare con il figlio Vincenzo, e con la moglie, Raffaella Gaglione. In almeno due occasioni, Senese, per gli inquirenti, si era scambiato con il figlio, senza farsi notare dal personale di vigilanza, le scarpe rispettivamente indossate per scambiarsi messaggi. «Cioè, qui stiamo parlando de… che è il capo di Roma! No il capo di Roma, il capo…il boss della camorra romana!!! Comanda tutto lui!!», diceva uno degli arrestati riferendosi Senese in un’intercettazione riportata nell’ordinanza del gip. Dopo la sentenza della Cassazione le posizioni torneranno ora al vaglio della Corte di Appello di Roma.