Caivano, don Patriciello: «La bomba? Ai clan non piace chi denuncia»

di Virginia Iadonisi

Il parroco: «Saperli rinchiusi in carcere mi addolora»

Ha denunciato l’oppressione della camorra, lo ha fatto «ad alta voce» e questo «a loro non piace». A parlare è don Maurizio Patriciello, il parroco di Caivano che la criminalità organizzata ha cercato di intimorire facendo esplodere una bomba davanti al cancello della sua chiesa, nel marzo del 2022. A tutti era chiara la matrice dell’attentato che ora viene sancita da un’indagine dei carabinieri, coordinata dalla Dda, che ha passato il vaglio di un giudice.

«La bomba fatta esplodere due anni fa davanti alla mia parrocchia, – dice Patriciello – fu per me motivo di tristezza immensa. Sono solo un povero prete di periferia. Non ho mai toccato una pistola. Le mie armi sono il Vangelo e la preghiera. Non posseggo niente».

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«Di che avevano paura queste persone che hanno scelto la via del male? In che cosa avrei potuto danneggiarli? I camorristi hanno bisogno del silenzio omertoso dei cittadini più del pane. Odiano la libertà. Tiranneggiano il nostro popolo. Lo vogliono condannare a morte. Ma non rinunciano all’ebbrezza di essere ipocritamente osannati e riveriti. Non vogliono bene a nessuno, nemmeno ai loro stessi figli, ai quali aprono le porte del carcere o del camposanto. Questi scempi vanno denunciati. Ad alta voce. L’ho fatto. A loro non piace. E arrivano le minacce».

Don Maurizio rivolge i suoi complimenti ai carabinieri e ai magistrati ma «resta l’amaro in bocca» aggiunge, perché «queste creature che hanno scelto di angariare la gente e distruggere se stessi sono nostri fratelli. Saperli rinchiusi in carcere mi addolora. Per loro prego. Perché possono ritornare sulla retta via, guardare negli occhi i figli senza doversi vergognare. Mi avete costretto, fratelli camorristi, a vivere sotto scorta. Mi pesa. Non lo avrei mai pensato. Fa niente. Vi perdono. Vi abbraccio. Vi chiedo però di cambiare vita. Per il nostro bene. Per il vostro bene. Per il bene dei vostri figli. Vi benedico», conclude.

Setaro

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