Il socio di Raffaele Imperiale si dice «grato all’Italia»
«Sono stato liberato grazie a un accordo, credo con i servizi segreti, un accordo con i jihadisti che mi hanno sequestrato: sono grato all’Italia». Mostra gratitudine e fornisce ulteriori particolari circa la sua rocambolesca fuga da Dubai, il narcotrafficante internazionale Bruno Carbone, che oggi, a Napoli, davanti ai giudici della settima sezione penale (presidente Marta Di Stefano), e al sostituto procuratore Maurizio De Marco, ha risposto alle domande degli avvocati del collegio difensivo nel corso di una udienza del processo che vede sul banco degli imputati il broker Raffaele Imperiale – il boss «dei Van Gogh», che di recente ha messo a disposizione delle autorità italiane un’isola a Dubai di sua proprietà – e i suoi complici.
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Le autorità italiane si attivarono dopo aver saputo del connazionale in difficoltà, anche se Carbone non è a conoscenza di tutti i particolari che hanno portato alla sua liberazione dalle milizie siriane. Da quanto trapela, è piuttosto verosimile che un accordo ci sia stato, ma con le autorità turche, che poi avrebbero mediato con i jihadisti. E furono infatti i turchi a rendere nota la liberazione nel corso di una conferenza stampa.
Ripreso di spalle, dalla località segreta dove è detenuto, Carbone – che come Imperiale è un collaboratore di giustizia – ha reso una testimonianza scoppiettante, al pari di quella del suo capo, per il quale organizzava spedizioni di fiumi di cocaina che riusciva a far arrivare in Italia dopo un primo approdo in Olanda.
Il racconto di Bruno Carbone
Di recente i carabinieri e la Dda di Napoli gli hanno anche notificato nuove accuse nell’ambito di un’altra indagine sempre riguardante il traffico di droga. «Sono stato preso da un gruppo jihadista nel marzo del 2022 e chiuso in una camera dove c’erano una quarantina di persone», racconta ancora Carbone. «Il 4 novembre 2022 – spiega il narcos – sono stato prelevato e messo davanti a una telecamera con un cartello in mano. Dieci giorni dopo, il 14 novembre, sono stato consegnato a delle persone che mi hanno portato in Italia». In quella prigione, dice ancora Carbone, ci rimase un suo stretto collaboratore, Anass Zamouri, anche lui catturato insieme con Carbone: «Non so che fine ha fatto, forse è ancora, lì, forse è morto».